Bogliasco vista mare: Quagliarella ci raggiunge alle 12,50, in compagnia di papà Vittorio e mamma Susanna. Un pranzo rapido, l’aria disincantata di chi ha quasi abolito le parole.
Quagliamo subito. «A 36 anni il sogno della mia vita calcistica è oggi. Realizzato. Un derby vinto, la classifica cannonieri, la Nazionale, Mancini che mi coccola, io che mi commuovo dopo un gol. E mi interrogo: “Fabio, ma cosa combini, hai i lucciconi mentre parli? “. Non mi trattengo, è più forte di me. Eppure ti giuro che, prima di andare in diretta, quasi mi violento per farmi scivolare tutto addosso, senza incrinare la voce. Niente»
«L’ultima intervista? Non la ricordo. Pressing altissimo, hai fatto gol».
Non come i tuoi. «Ho letto statistiche imbarazzanti».
Non sei felice? «Beh, se scrivono che in Europa a incidere di più sono Messi, Mbappé e Quagliarella, qualche domanda me la dovrei pure porre…».
Totale: 22 gol e 8 assist, incidere significa questo. «Il derby trasmette emozioni pazzesche. Ti racconto com’è andata: finisce la partita, andiamo sotto la curva. Mi fermo qualche minuto in più, sai come funziona, poi la nostra gente grida “olé” per farci saltare. Mi giro e immagino di avere i compagni alle spalle. Nulla, il deserto, loro sono già nello spogliatoio, mi ritrovo da solo. Marassi è magia, ti rincoglionisce».
Quagliarella incide come Messi. «Dai, tagliamo corto, sai come la penso».
Come? «Ronaldo e Messi fanno un altro sport. Sì, mettilo bene, ti ho dato un titolo? L’ultima generazione ha prodotto un solo fenomeno in grado di raggiungerli».
Chi? «Mbappé».
Ha le basi. «Marco Verratti è un amico e quando gli chiedo di descrivermelo sussurra “è impressionante, Fabio”. Da un momento all’altro Mbappé mette la sesta e non lo prendi più».
Quagliarella-Ronaldo sarebbe una coppia senza riferimenti? «Sì, alla playstation. Anzi, forse..».
Forse? «Ronaldo se ne porta due dietro e mi lascia gli spazi liberi. A queste condizioni sarebbe perfetto, mica posso sbagliare davanti alla porta».
Fabio il tuttologo. «Tatticamente sono cambiato. Non sono mai stato una prima punta, fin dai tempi di Udine. Negli anni ho imparato troppe cose: correre sempre, evitare che la tattica diventi una camicia di forza. Non vivo di ansie, prima mi innervosivo se non segnavo prima dell’intervallo. Ci sarebbe una massima».
Quale? «Questo: impara a gestirti, vivrai meglio».
In questa storia spunta Giampaolo. «La forza del nostro rapporto è che non servono comizi quotidiani. Gli avrò parlato non più di cinque volte da quando sono qui».
Bella sintesi. «Ho sempre detestato chi prova a fare il capo o il capetto per infilarsi dalla finestra laddove non riesce dalla porta principale. Non rientra nella mia indole, chi mi conosce lo sa. In passato ho vissuto situazioni antipatiche, c’era chi cercava di raggiungere con gli atteggiamenti ciò che non riusciva con i fatti. Mi riconosco un pregio».
Soltanto uno?
«Non sono lecchino. E per me vale quanto un gol bello bello a settimana».
Se ti dico Conte? «Quando hai appetito con Conte diventa fame vera, sbraneresti il mondo. Alla Juve sapevo di non poter giocare 60 partite su 60, ma se hai un martello come Conte capisci certe cose. Un trapano. Ti racconto questa, una storia di mercato e di sicuro ti piacerà».
Proprio così. «Estate 2013. Apparecchiano un giro di attaccanti: io alla Roma, Gilardino alla Juve e Borriello al Genoa. Solo che c’è un piccolo particolare».
Quale? «All’ultimo si inserisce la Lazio e diventa un derby. Tare mi tempesta ogni dieci minuti, cedo e non cedo? Stanno parlando, barcollo un po’. Poi squilla il cellulare».
Antonio Conte. «Un treno: “Fabio, ma mi dicono che vuoi andar via, farò casino, smettila. Non darò mai il placet, ricordatelo”. Il famoso trapano. “Mister, se non lo dà io resto alla Juve”. Conte ti aggredisce nel senso buono, ti convince».
Sei fedele ai procuratori.«Ho Beppe Bozzo da circa dieci anni. Ma non ne volevo sapere».
Mancanza di fiducia? «Verso il mio agente precedente, la storia era finita male. Decido di gestirmi da solo, Simone Perrotta consiglia Bozzo, alla prima telefonata lo intimorisco con “guarda che non è aria”. Lui dice che spesso sparisco e che non gli rompo le scatole. Ma il rapporto di fiducia è certificato dai fatti, per me è come un fratello maggiore. Chiedigli come la presero Roma e Lazio dopo la telefonata di Conte».
Male. «A un certo punto mi mettono in viva voce, Tare spinge e la Roma rilancia. Devo scegliere in dieci minuti. Li gelo con un “resto alla Juve, chiudiamola così”. Effetto Conte, come ti ho raccontato. Silenzio dall’altra parte, ma un silenzio assurdo». (Tare è convinto che dietro ci sia la decisione di andare alla Roma, al punto che trattiene Bozzo in una pizzeria di Milano per tenerlo impegnato in quelle ore concitate di mercato).
Chi è Mancini per Quagliarella?
«Un’overdose di serenità. Quando ho letto “la convocazione di Fabio non è un premio alla carriera”, ho constatato la profondità di un progetto anche se non ho più l’età».
Strada spianata fino agli Europei? «Lo diranno i fatti. Questo è un gruppo».
Unito. «Tecnico. Ci sono le basi per un ciclo, l’entusiasmo abbinato alle qualità di molti ragazzi che stanno crescendo».
Però, gli attaccanti di una volta… «Sono cresciuto all’ombra di Totti, Del Piero, Gila, Di Natale e Toni. Ombra nel senso che erano davanti a me, inseguivo. Se vuoi fare il medico e ce ne sono dieci più bravi di te, ti metti in fila. Oggi il calcio è cambiato, se non c’è l’assortimento di attaccanti di dieci anni fa può dipendere da tante cose, scuole calcio comprese».
Il momento più difficile?
«L’infortunio al ginocchio del 2011, il terrore di non poter tornare ai massimi livelli. Ma ci sono risarcimenti della vita».
Lo stalkeraggio di Napoli.
«Una bastonata».
Ti accusano di andare alla Juve come un manifesto di viltà.
«E poi viene fuori la storia dello stalker che millanta, proprio a casa mia e mentre sto indossando la maglia dei sogni realizzati. Quindi, riepilogando, Fabio Quagliarella decide di tradire il Napoli per andare alla Juve, come se volesse calpestare un amore e barattarlo con i soldi. La verità è stata ristabilita, ma soltanto io ho conosciuto…».
Cosa?
«La sofferenza atroce, allargata a chi mi vuole davvero bene. Mi è rimasta una cicatrice, ogni tanto idealmente la guardo. E’ un taglio, lo vedo anche se non si vede, resta e soltanto chi vive certe cose può immaginare. Ho imparato a proteggermi di più, chiuso in un fortino perché quella cicatrice è un tormento. Se prima non mi fidavo, adesso di meno. Una cosa mi dà sollievo anche se non mi risarcisce».
Il tempo che lava le ferite?
«No, ripeto, la cicatrice la porterò con me. Per fortuna la mia gente ha capito che non volessi lucrare sulla pelle del club che amo di più. Me lo faccio bastare. Avevo deciso di parlare soltanto alle Iene, ci sono tornato ora con te. Ma non ne voglio più riaprire quel libro in pubblico. Gestirò nel mio intimo».
Il Napoli passerà con l’Arsenal?
«Sono scaramantico, altra domanda».
La Juve Stabia andrà in serie B? «Peggio ancora, passo. Siamo vicini? Ah, non lo so… Ti dico soltanto che un figlio di Castellammare come me ha scaricato le applicazioni sulla Juve Stabia. Sono informato in tempo reale».
Quante volte torni a casa?
«Ogni mese e mezzo. Mamma e papà vengono a trovarmi, il mio carattere è un mix: sono una via di mezzo tra l’introverso Vittorio e la più espansiva Susanna. Quando mi hanno richiamato in Nazionale ho pensato che papà si sarebbe chiuso in un silenzio infinito. Pelle d’oca. Invece, mi ha inviato un sms semplice (“Che soddisfazioni ci dai..”), per me aveva il significato di un trattato. Noi siamo di poche parole. E chiedo scusa a mio nipote».
Scusa?
«Ho due fratelli, una sorella e otto nipoti. Vittorio ha compiuto 18 anni il giorno di Italia-Liechtenstein, il 28 marzo a Parma. Una processione di parenti in un locale a Castellammare. A un certo punto, in pieno tormentone “ma Fabio quando segna?”, ci concedono un rigore, poi sarebbe arrivato il secondo. Il deejay smette di suonare, i camerieri smettono di servire, lo chef smette di cucinare. Un oceano di persone davanti al televisore, quando trasformo il locale diventa una curva da stadio. Vittorio mi odierà a vita…».
Ferrero in un telegramma?
«Un personaggio, ci facciamo un sacco di risate».
Il miglior difensore di oggi?
«Chiellini tra i primi tre al mondo».
Quello di ieri?
«Chi lasci fuori tra Nesta, Maldini, Thuram, Costacurta, Nesta e quelli che non ricordo?».
Quagliarella dopo la Samp?
«Qui sto da dio. Mi piacerebbe un’esperienza in Mls, ho sfiorato l’estero soltanto una volta, trattativa con il West Ham sfumata».
I tre allenatori italiani che apprezzi di più?
«A parte il mio, Sarri, Gasperini e De Zerbi».
Resterai nel mondo del calcio?
«Ci conto».
Dacci il modulo di riferimento.
«Non so se un giorno andrò in panchina, troppa ansia. Ma se dovessi scegliere e decidere, 3-4-3 o 3-4-1-2. A due condizioni».
Addirittura.
«La possibilità di sostituire gli attaccanti dopo venti minuti se stanno facendo male: sono esigente. E la priorità di avere accanto a me uno specialista della fase difensiva, non vorrei combinare disastri».
La migliore prodezza alla Quagliarella per rialzare il nostro calcio?
«Gli stadi nuovi. In modo tale che non debba sussurrare ai miei genitori “preferisco che non veniate domenica”. E’ successo, ma non chiedermi quando, neanche sotto tortura te lo direi».
Ci resteresti male se non vincessi la classifica cannonieri?
«Guarda chi sono i miei rivali, non potrei certo restarci male».
Scegline uno.
«Un gol, dici?».
Ne hai sette-otto in carriera da gigantografia.
«Potrei dirti una rovesciata. Oppure un pallonetto da centrocampo. Ma il colpo di tacco al Napoli ha un valore enorme, lo sai perché?».
No.
«Porterò dentro gli sguardi increduli della mia gente. Dieci, venti, secondi dopo: correndo da loro, quegli occhi allibiti mi accompagneranno sempre»
Fonte: CdS