Hysaj, meno Koulibaly, meno Mario Rui, meno Allan e anche Fabian Ruiz, meno Zielinski e meno Insigne e Mertens: se sottrai a oltranza, è chiaro che poi ti resta uno scheletro di squadra e neanche una traccia di idea, uno scarabocchio che non sa di aritmetica, figurarsi un po’ se può somigliare alla grammatica del calcio di Carlo Ancelotti. Però cinque giorni, a volte, possono bastare, la testa aiuta e le gambe (dipende) potrebbero sostenere un’impresa: il conto alla rovescia, e in che modo, che ha trascinato il Napoli negli angoli perduti dell’Emirates ha rapito l’ottimismo, non la volontà, e quella foto di un buco nero – quarantacinque minuti per interi, quegli altri parzialmente – rappresenta la radiografia di un’anima in pena da curare con dosi massicce d’autostima e di suggerimenti tecnici, di annotazioni e di rielaborazioni tattiche. Una partita, quella di giovedì, non rappresenta (non esclusivamente) un trattato di psicologia, certo qualcosa serve, ma ha bisogno d’atletismo, freschezza e codici da riacquisire attraverso gli Hysaj e i Koulibaly, i Mario Rui e gli Allan, i Fabian Ruiz e gli Zielinski, gli Insigne e i Mertens, per verificare se pure in campo, poi, meno per meno faccia più. Fonte: CdS