Pochi giri di parole, perché dopo lo spavento delle ultime giornate, la sua Juve Stabia è tornata a guardare tutti dall’alto in basso, mettendo a distanza di sicurezza (più cinque punti) le potenziali inseguitrici. La vittoria di domenica contro il Trapani ha l’odore della serie B, quella che il presidente Manniello aveva salutato nel 2014 al termine di un campionato da fanalino di coda senza speranza. Una sorta di storia che si capovolge, perché se quell’anno la sua squadra era stata ultima in classifica dall’inizio alla fine, adesso le tocca la medesima sorte, ma da capolista indisturbata. Da qui alla fine mancano 4 gare, ma una è quella che gli stabiesi vinceranno a tavolino con Matera, motivo per quale serviranno appena 4 punti per l’aritmetica promozione.
Presidente, si aspettava una stagione così esaltante?
«Sarei bugiardo se dicessi di sì. Però posso ammettere che in principio eravamo partiti con l’idea di costruire una squadra che se la potesse giocare con le big. L’anno scorso siamo arrivati quarti. Il Lecce era stato promosso, mentre il Catania doveva essere ripescato».
Anche perché a giugno sembrava che lei volesse mollare e la squadre ha rischiato addirittura di non iscriversi al campionato. Poi cosa è cambiato?
«Abbiamo deciso di partire con una filosofia trapattoniana».
Ovvero?
«Le squadre che pensano di vincere devono avere una difesa forte. La squadra che non subisce reti un golletto lo trova sempre».
Detto, fatto.
«Abbiamo la miglior difesa del campionato avendo preso calciatori di categoria come Troest e Vitiello».
E poi c’è Caserta in panchina.
«Forse lui è la mia più grossa soddisfazione».
Perché?
«Sono stato io ad avergli detto Ti sei fatto vecchio, mettiti a fare l’allenatore. Il nostro è un rapporto che va al di là del lavoro. C’è stima e amicizia».
Ma lei che tipo di presidente è?
«Innanzitutto un presidente tifoso. Seguo la Juve Stabia da quando avevo 5 anni, altrimenti non sarei potuto restare 11 anni con la carica di presidente».
Come mai dice così?
«Perché oggettivamente ti dissangui. Queste sono leghe nelle quali non ci sono introiti. La serie C ha gli stessi oneri della serie A, ma senza i ricavi».
Cosa manca di più?
«Non essendo i soldi dei diritti televisivi, qui si punta tutto sulla vicinanza della tifoseria e noi risentiamo molto della rivalità con i comuni limitrofi. Per i nostri introiti dobbiamo fare leva solo sul cittadino».
Ma i successi della squadra non hanno riavvicinato i tifosi allo stadio?
«Ora sì, ci mancherebbe. Siamo primi dall’inizio. Ma se vinciamo questo campionato è un piccolo miracolo che si ripete visto che gli altri 3 competitor che abbiamo sono squadre di capoluoghi di provincia che dietro hanno un bacino ampio. Molto più del nostro».
La promozione cosa vorrebbe dire per il territorio e la città di Castellammare?
«Spero possa essere un volano per la città anche a livello turistico. La serie B porta tifosi ospiti che andrebbero ad arricchire le strutture locali».
E se vincete il campionato, lei che farà?
«Sono cinque anni che aspetto per togliermi una soddisfazione. Ho una sfida e una promessa che svelerò solo a fine campionato».
Intanto come seguirà queste ultime partite che mancano?
«Come sempre. Ovvero con i risultati sul Televideo, Perché molte partite non riesco neanche a vederle per la tensione».
E allora ci racconti della vittoria sul Trapani?
«Anche se abbiamo meritato e dominato la partita dall’inizio alla fine, ho sofferto tantissimo. Era veramente importantissima e quindi la tensione era alle stelle».
Alla fine è andata bene.
«La gente aspettava una giornata del genere ed è per questo che dico bravi ai ragazzi che ci hanno regalato questa gioia. Quella di domenica è stata una giornata particolare perché abbiamo messo prezzi simbolici e i tifosi hanno regalato un bellissimo spettacolo allo stadio. Una di quelle belle giornate gialloblu».
Che tipo di rapporto ha con la squadra e i giocatori?
«In qualsiasi cosa della vita ognuno deve rispettare i ruoli altrui. Domenica, prima della partita, sono entrato negli spogliatoi chiedendo il permesso a Caserta. Ritengo che lo spogliatoio sia sacro e sia di calciatori e allenatori. Non sono un presidente che pretende di capire tutto da solo. Scelgo le persone, e se mi fido le faccio lavorare. Ognuno è bravo nel proprio lavoro e nel proprio campo». Fonte: Il Mattino