Ciò che è successo adesso, in queste ultime due giornate di campionato, è utile per ricostruire la carriera di Younes apparentemente perduta: gol all’Udinese, nella prima da titolare, poi di nuovo ad esultare, e stavolta all’Olimpico, dopo essersi appena alzato dalla panchina. Sono prodezze, una tecnica e l’altra caratteriale – con caparbietà – e servono (eccome) per rimettere a posto un giudizio, inevitabilmente, infarcito da pregiudizi. Perché a gennaio del 2018, quando Younes prende il primo treno insieme al papà, e decide di tornarsene in Olanda, nessuno è in grado di farsene una ragione, né di trovare un motivo, neanche De Laurentiis al quale arriva di buon’ora la telefonata sorprendete dal giovanotto, che almeno lo avvisa: «Ho provato a farlo desistere, non c’è stato verso. Ma tornerà, vedrete». Diventa una sottile, a volte perfida «guerra» psicologica, impregnata di atteggiamenti equivoci, dichiarazioni feroci, silenzi assordanti, reazioni roboanti e una incertezza che va via evaporando, perché intanto il Napoli – De Laurentiis, Chiavelli, Giuntoli – ignorando le più squallide leggende metropolitane («ha incontrato i camorristi», scrive qualcuno), procede a persuadere questo venticinquenne di oggi che è diventato ciò che era, un patrimonio tecnico da custodire. Fonte: CdS