L’ex arbitro Pieri: «Io, accusato ingiustamente per Calciopoli, ripartii da zero»

Non capita spesso di pensarci, ma…cosa fanno gli arbitri quando smettono di essere arbitri? In un mondo del lavoro così settoriale, possono riprendere il lavoro per cui hanno studiato, o, almeno, quello che sapevano fare, prima.  

«Non è con questa sorta di reddito di cittadinanza che si risolve il problema degli arbitri che smettono, anzi: la questione è molto più pesante». Tiziano Pieri, oggi moviolista alla Rai, risponde così all’idea lanciata da Marcello Nicchi.

Perché si pone il problema di un reddito? Un arbitro può andare in difficoltà economica dopo aver smesso? «Faccio il mio esempio. Mi sono dovuto difendere dalle infamanti accuse di Calciopoli, in poche ore mi sono trovato spogliato di tutto quello chemi ero creato. Ho dovuto ricominciare. Ce l’ho fatta grazie ad una frase di mio figlio: “Papà, ti voglio bene lo stesso, anche se non fai l’arbitro”. Fu lamolla per cambiare vita, smettere di pensare a ciò che mi avevano tolto, guardare avanti con coraggio. Con l’aiuto mia moglie ce l’ho fatta, oggi sono tornato in un’azienda, anche con un ruolo importante, e vado in tv solo per divertimento».

Ci sono suoi ex colleghi che, non reagiscono così e vanno in difficoltà. «È un dato di fatto. Partiamo da un presupposto molto semplice: quando fai l’arbitro sei lontano da casa e quindi dal tuo posto di lavoro per almeno 180 giorni l’anno. Se diventi internazionale, ancora di più. Ovviamente, la carriera a livelli top non dura tantissimi anni, però molli tutto quello che avevi costruito lontano dall’Aia, lontano dal calcio. Soprattutto, poi, se sei un lavoratore dipendente o sei hai un’attività professionale dove devi essere sempre presente. È chiaro, poi, nelle zone, come quelle del Sud dove c’è meno lavoro, cominciare da zero diventa tutto più complesso». Come si ricomincia una vita, dopo aver fatto l’arbitro? «Stipendi diversi, difficoltà diverse. Un arbitro si allena tutti i giorni, studia tantissimo. Pensate ad Irrati: fa l’avvocato in Toscana ed è considerato il miglior Var al mondo. Quando smetterà, chi lo contatterà per fare l’avvocato? Forse nessuno, visto che quello studio non può mai viverlo per quelli che sono i suoi impegni di arbitro. Queste sono le difficoltà che l’associazione deve capire e non far sentire gli arbitri come un peso quando smettono».

Anche perché si è costretti a scegliere: o fai l’arbitro o fai altro. «E si entra in una condizione mentale particolare, con i raduni provinciali, con un percorso che solo ad alti livelli porta a certi compensi. Quando sei arbitro, non puoi fare più nulla altro al 100%. Ed è per questo che io ed altrimiei colleghi abbiamo dovuto interiorizzare uno spirito di sopravvivenza che ci era sconosciuto.Ma il rischio di finire male esiste ed è alto».

Cosa suggerisce all’Aia per evitare tutte queste difficoltà? «Senza mezzi assistenziali, valorizzare concretamente le risorse. Ci sono troppi pochi sbocchi per gli arbitri. La carriera del “varista”, ad esempio, dovrebbe essere instradata per coloro che smettono di arbitrare. Non si guadagnano più tanti soldi come quando sei in campo: ma, con 1200 euro almese, per esempio, puoi continuare a vivere da arbitro, con un aiuto concreto per l’Aia ed al tempo stesso avere modo e tempo per reinserirti nel mondo del lavoro».

Fonte: Il Mattino

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