Hanno fatto la storia del calcio italiano. Dino Zoff e Giovanni Trapattoni. E in pochi possono descrivere profondamente il Trap come il portierone friulano, il monumento del calcio italiano. Le parole di Dino Zoff a Il Mattino:
«E vuol sapere perché? Semplicemente perché siamo quasi coetanei».
Trapattoni taglia oggi il traguardo degli ottant’anni, il portierone due settimane fa ne ha compiuti settantasette. «È vero, lo conosco bene perché ci frequentiamo da quando eravamo calciatori. Non ricordo nemmeno più quante volte ci siamo affrontati da avversari».
Avete scritto insieme la storia della grande Juventus degli anni Settanta. «Senza dimenticare altri interpreti, Scirea ad esempio».
Il suo rapporto invece con il Trap? «Il fatto di avere quasi la stessa età in un certo senso mi agevolava, il confine era sottilissimo».
Più bravo da allenatore o da calciatore? «Ha fatto tutto alla perfezione, i risultati e i trofei vinti parlano per lui».
Si è sempre detto che sia stato l’erede naturale di Nereo Rocco in panchina. «Alt, non ci sto. Rocco ha inventato il catenaccio, il Trap aveva un altro modo di giocare».
Difesa e contropiede, il gioco all’italiana. «Basta con questa storia di Trapattoni difensivista, è una teoria ingiusta e diseducativa. Andatevi a vedere le statistiche, con lui gli attaccanti segnavano tantissimo».
Ma il segreto era soprattutto non subire, giusto? «Allora diciamo le cose giuste: un conto è giocare in difesa, un altro è saper dare equilibrio alla squadra. Per me è stato fortissimo soprattutto sotto questo aspetto, nel saper garantire massimo equilibrio tra la fase difensiva e quella offensiva».
Della serie l’importante alla fine è vincere. «Più o meno. E poi bisogna chiarirsi sul concetto del giocar bene. Per me una squadra che gioca in maniera spettacolare e non vince, non gioca bene».
Però è stato un italianista convinto. «Dipende dal significato che si vuol dare: per me essere italianista è aver vinto la coppa Uefa del ’77 con un gruppo formato soltanto da calciatori italiani».
Come riusciva il Trap a compattare uno spogliatoio formato da tanti campioni? «Diritti e doveri. All’inizio di ogni stagione faceva un discorso a tutta la comitiva, ricordandoci chi eravamo e cosa eravamo tenuti a fare nel rispetto della gente e delle società che ci pagavano profumatamente. Esigeva comportamenti esemplari, dentro e fuori il campo».
Trap sergente di ferro? «No, quello spogliatoio era una famiglia. Si arrivava in anticipo di mezzora agli allenamenti solo per divertirci».
Cosa ricorda maggiormente dell’allenatore che oggi compie 80 anni? «All’inizio di ogni stagione, raccomandava a tutti noi di non presentarci in sovrappeso al ritiro precampionato. All’appuntamento con la bilancia era lui il più tirato di tutti. E nella corsa si metteva in testa a tirare il gruppo, era la sua filosofia. Ah il Trap, che personaggio…».