Sul mappamondo calcistico c’è una bandierina azzurra anche in Azerbaigian. Certo, quella che il Napoli sogna di poter mettere a Baku il 29 maggio vincendo la finale di Europa League sarebbe di dimensioni decisamente più grandi, ma intanto, a preparare il terreno, ci sta pensando Roberto Bordin. Come? Da allenatore del Neftci Baku, squadra che guida (a pari punti con il Qarabag) la classifica del campionato azero. Bordin, che del Napoli è stato anche capitano, è uno di quegli italiani che ha deciso di fare fortuna allenando all’estero e i risultati gli stanno dando ragione. Il tutto senza dimenticare l’Italia, paese dove sogna un giorno di poter tornare ad allenare.
Ma come è finito ad allenare in Azerbaigian? «Il direttore sportivo del Neftci mi aveva seguito quando ero allo Sheriff e mi ha contatto tramite un procuratore italiano. Dopo i due o tre incontri che abbiamo avuto ho accettato perché questa è una squadra storica ed è la più titolata del paese».
Un attimo, cosa è lo Sheriff? «Il Football Club Sheriff Tiraspol è una società calcistica moldava dove ho allenato per due anni, dal 2016 al 2018».
Non faccia il modesto, non ha solo allenato. «In Moldavia ho vissuto un anno e mezzo molto bello: abbiamo vinto due campionati e una coppa di Moldavia. Per di più abbiamo anche raggiunto la fase a gironi di Europa League».
E là come erano arrivati a lei? «Tramite un direttore sportivo che conoscevo e che avevo avuto in passato. Ho fatto qualche giorno là per vedere come funzionava e poi ho accettato. Avevo troppa voglia di allenare. Prima di partire ho chiesto qualche informazione a Ionita, che ho allenato a Verona».
Perché lei nasce come vice di Mandorlini. «Sì, per circa dieci anni sono stato con lui come primo assistente».
La sua prima esperienza da allenatore? «Ho smesso di giocare a 40 anni e subito ho iniziato con una panchina in Italia. Ma è stata l’unica esperienza nei nostri campionati. Tramite una vecchia conoscenza nel Napoli, Mauro Milanese, sono andato ad allenare la Triestina in serie D».
Ma quello è il passato, il presente di Bordin si chiama Neftci Baku, una realtà che già sente come casa sua. «Quest’anno è venuta a vivere con me anche la mia compagna con nostra figlia che ha 16 mesi. Gli altri due figli che ho sono grandi e vivono a La Spezia».
Ci dica qualcosa della città. «Baku è una bellissima città, molto moderna. C’è il mare, ci sono dei parchi enormi e poi la zona del business è molto avanzata. Senza dimenticare la città vecchia. Nel complesso si vive molto bene e io mi sento un privilegiato perché vivo nella parte bella della città. Qui sono avanti sotto tanti punti di vista, basti pensare che tra pochi mesi ci sarà anche il Gran premio di Formula 1. Il clima varia: oggi nevica, domani ci sono 10 gradi. L’unica cosa che non cambia mai è il vento».
E il calcio? «Ogni squadra in Azerbaigian ha un centro sportivo all’avanguardia e tutti i campi sono in erba. Sono rimasto sorpreso in maniera positiva perché tatticamente stanno a buon punto. Puoi cambiare moduli e ti seguono e anche gli allenatori sono bravi».
Il campionato come è? «Il Qarabag ha un budget esagerato e ha giocatori che fanno la differenza. Ma in generale i calciatori azeri sono forti. In ogni partita di campionato dobbiamo schierare 6 stranieri e 5 azeri di cui un giovane almeno del 1996. Anche la nazionale non è poi così male: ha perso solo all’ultima partita di Nations League».
Ma sopratutto a Baku è in programma la prossima finale di Europa League: lei chi vorrebbe vedere?
«Ovviamente mi auguro che ci sia il Napoli. In quel caso mi faccio promotore per organizzare il comitato di accoglienza».
Lei che tipo di allenatore è? «Un allenatore rompipalle. Perché da giocatore ero abituato a dare sempre il 100% e ora lo esigo anche dai giocatori. Per me è il lavoro più bello del mondo: giochi a calcio, guadagni soldi, la gente paga per venirti a vedere, quindi per quelle poche ore di allenamento al giorno devi dare il massimo».
E tatticamente? «Ho preso un po’ da Lippi, un po’ da Boskov e un po’ da Mandorlini. Parto sempre con il 4-3-3 e poi mi piace cambiare in base agli avversari. Qui i cambiamenti spesso non vengono sempre visti benissimo. Ma io provo durante gli allenamenti per far trovare i giocatori preparati».
Idee chiare insomma. «Qui ho portato le mie idee di lavoro: sempre il ritiro prepartita e poi una doppia seduta settimanale. All’inizio mi guardavano come un extraterrestre ma penso che ora l’abbiano assorbita bene».
Lei è l’unico italiano? «Sono stato il primo ad arrivare in Azerbaigian, poi nello staff mi sono portato Andrea Vezzu, padovano. Il resto la società li aveva già. Altrimenti ne avrei portati ancora. In campo c’è Gianluca Sansone che ho fatto prendere proprio nell’ultima sessione di mercato dal Novara».
E con la lingua? «Ho un interprete, si chiama Mihail. Si tratta dello stesso che era con me in Moldavia. Ho voluto lui perché è molto sveglio: ha studiato in Italia ed è molto bravo nel comunicare a livello emozionale l’intensità della frase. Veloce a tradurre e il messaggio arriva subito. Poi nello spogliatoio ci sono alcuni che parlano inglese e con loro parlo direttamente. In generale devi essere breve e diretto con le frasi e quando alzo la voce capiscono subito».
Il sogno nel cassetto? «Vorrei tornare in Italia visto che in questi anni non ho avuto la possibilità di allenare là. La storia del calcio italiano è ovviamente più ricca rispetto a quello moldavo e azero. Ma anche all’estero stanno provando a crescere e a fare bene a livello europeo. E poi qui ho ancora un contratto di due anni».
Ma veniamo al Napoli e al suo Napoli. «A Napoli ho tanti bei ricordi perché ho giocato dei campionati importanti».
Amicizie speciali? «Inizialmente ricordo la grande disponibilità di Ciro Ferrara che era il capitano, il suo supporto è stato importante. Poi ricordo l’ultimo gol di Di Canio a Foggia che ci ha dato la possibilità di andare in Coppa Uefa. Si stava bene con tutti. Con Policano, che vive a Padova vicino alla mia Verona, ci sentiamo».
Il ricordo più bello? «Aver indossato la fascia di capitano a Napoli. La ritengo una grande fortuna».
Fonte: Il Mattino