«Napoli è il mio più grande rimpianto, avrei potuto vincerci uno scudetto, altro che la stagione della retrocessione». Quando un’intervista inizia così, sulle pagine de “il Mattino”, tanto vale sedersi con un buon caffè e godersi l’album dei ricordi. Soprattutto se ad aprirlo è Giovanni Galeone, uno che di storie ne ha parecchie da raccontare.
Quindi, il suo rimpianto a Napoli non è legato alla sciagurata stagione 97-98? «Ma no, lì commisi solo l’errore di non capire che se Mazzone aveva fallito io non avevo chance. Bagni (ds dell’epoca, ndr) mi chiese di pazientare, ma Ferlaino non aveva più la forza per sostenere la società. L’epilogo è quello che conoscete tutti. La storia poteva esser diversa anni prima, il piccoletto mi voleva a Napoli, ed anche Moggi».
Parliamo del piccoletto con la dieci sulle spalle? «Lo ricordo come se fosse ieri. Ero a Napoli perché accompagnai mia moglie al Cardarelli per un intervento all’anca. Andai a cena in un ristorante dove mi raggiunse il piccoletto, Maradona, e mi disse: Mister, ti voglio a Napoli con me, devi essere il mio prossimo allenatore. Con te vinciamo tutto. Non nascondo l’emozione, era un Napoli stellare. Per me, poi, nato a Bagnoli, a via Lucio Silla, a quattro passi dal San Paolo, era come un sogno che si stava per realizzare. Pensi che Diego volle omaggiare me e mia moglie quella sera con una bottiglia di uno champagne raffinatissimo».
Cosa accadde? Cosa bloccò la trattativa? «Non io, certamente. Da napoletano, lo dico subito, non sono mai stato juventino: non avrei messo nulla davanti alla possibilità di allenare il Napoli di Maradona. Luciano Moggi, però, era persuaso che io avessi già firmato con la Roma, chissà chi gli mise in testa quella voce assurda. Così saltò la più grande chance della mia carriera».
Neppure Ancelotti, almeno quest’anno, vincerà lo scudetto. «No, francamente neppure io credo ad una rimonta. Anzi, l’intento della Juventus, domenica sera, penso sia chiaro: un pareggio al San Paolo per cucirsi lo scudetto sul petto. Se Allegri riesce a prendere un punto a Napoli è fatta e può concentrarsi solo sulla Champions».
Quanto influiranno Salisburgo ed Atletico Madrid sulla gara di domenica? «Non so se Allegri farà le prove generali a Napoli del match contro l’Atletico del 12 marzo. C’è ancora tempo e bisogna capire come sta Ronaldo. Per il Napoli è diverso: deve puntare tutto sull’Europa League. Oggi è una coppa importante, non come quando allenavo io l’Udinese, ad esempio».
Non credeva nella vecchia Coppa Uefa? «Io si, era il patron Pozzo che quasi intimava di non prendersi le posizioni che portavano in Coppa Uefa. La riteneva una perdita di tempo, una spesa inutile per la società, non era come andare nella vecchia Coppa dei Campioni».
Anche De Laurentiis la pensava come il suo amico Pozzo fino a poco tempo fa. «Si, ma con Ancelotti sta cambiando un processo mentale all’interno del Napoli iniziato con Benitez. Si sta portando un modo di ragionare ancora più europeo. Se ci riflette, tutte le grandi squadre oggi non snobbano più l’Europa League, solo in Italia c’era un certo modo di pensare. Grazie ad un allenatore come Ancelotti, anche in Italia sta cambiando questa mentalità. E poi, Ancelotti è anche più spettacolare di Sarri».
Questa è un’affermazione forte. «Sarri praticava a Napoli un calcio molto ripetitivo. Uno stesso schema veniva messo in atto decine di volte a partita, fin quando non riusciva a trovare il tempo giusto per superare la difesa. Ma, le soluzioni erano sempre le stesse e ci impiegava molto più tempo per arrivare al tiro. Oggi, l’evoluzione voluta da Ancelotti ha portato il Napoli ad essere molto più imprevedibile. Non sai mai chi tirerà e da dove lo farà. Inoltre, ho visto uno sviluppo interessante per Milik ed Insigne. Inoltre, Carletto pratica un 4-4-2 che non è un 4-4-2».
Quello che si chiama calcio posizionale? «Ancelotti ha perso le ali del 4-3-3, ma le ha ritrovate nei terzini. Nel Napoli tutti si muovono senza palla. È un calcio meraviglioso da guardare: resta fermo solo il centrale che sta accanto a Koulibaly, poi tutti partecipano all’azione offensiva. Una squadra dove tutti sono pronti ad interscambiarsi la posizione. Contro il Parma è stata una delizia veder giocare il Napoli».
Il suo legame con Allegri è noto. Conferma che a fine stagione lascerà la Juve? «Non ho mai detto, come è stato erroneamente riportato, che Allegri lascerà la Juve a fine stagione. Max è stato mio calciatore e mio allievo. Sono estremamente legato a lui ma non so il suo futuro. Anzi, secondo me ha meno voglia di andare all’estero rispetto a due anni fa. Prima di andare su Sarri, il Chelsea ha pensato a Max la scorsa stagione, così come ha fatto l’Arsenal, ma lui ha detto no anche per questioni familiari. Io gli ho consigliato di andar via dalla Juventus dopo tanti anni, anche perché l’ambiente bianconero lo vive sempre come uno sul quale è stato sempre troppo facile puntare l’indice contro».
Proprio ieri Allegri ha lasciato i social per le troppe offese ricevute. Da dove nasce questo sentimento? «Ad Allegri manca la juventinità. Se fosse stato Ferrara o Del Piero, l’ambiente bianconero, tutto l’ambiente, l’avrebbe trattato con un rispetto diverso. Secondo me, è visto come un estraneo ed è per questo che continuo a suggerigli di lasciare la Juventus».
Per chi tiferà domenica sera? «Se non guardo la Juventus, allora è più difficile che Allegri vinca. Pensi che con l’Atletico, l’ho lasciata sullo 0 a 0. E le ribadisco che non sono mai stato juventino, oltre ad essere napoletano. Ma, con Allegri ho un legame straordinario. Non tiferò per nessuna delle due, spero solo di godermi uno spettacolo straordinario».
La Redazione