Stadium, in volo verso uno scudetto che il Napoli, splendido e scugnizzo, alla fine della storia e a un centimetro dal paradiso non riuscì a strappare dalle maglie dei campioni. Ci pensano ancora tutti, da queste parti; e per tutti, da quella notte trionfale, Kalidou è diventato un mito. Un idolo. Un totem: un po’ quello che pensano i colleghi e i giovani che l’hanno scelto, suo malgrado, come nuovo leader della lotta al razzismo nel calcio, e un po’ quello che pensa anche Cheikh Ndiaye. Lui, senegalese come Koulibaly, a 12 anni sta giocando ben altre partite: è ricoverato al Policlinico di Napoli per gravissime ustioni al viso e alle mani riportate nel suo Paese, nel corso di un incendio che ne ha bruciato la capanna e la carne, ed è in attesa di essere operato. Cheikh, al di là di sua madre, non ha nulla. Davvero: niente vestiti, monetine, mezzi e neanche pretese. Però un desiderio, beh, quello si: incontrare Kalidou, illustre connazionale che il destino ha messo sulla sua strada impervia. Messaggio recepito e risposta recapitata: “Sì, verrò a trovarti”. Proprio così: Koulibaly ci andrà, non tradisce mai. E’ un fuoriclasse in campo e anche nella vita: l’appuntamento è già fissato, è in agenda, ma per difendere la privacy e la tranquillità dei due ragazzi, e tra poco anche amici, si saprà tutto al momento opportuno. Accadrà presto, comunque. E dunque alla vigilia di un’altra sfida con la Juve che, a distanza di dieci mesi e 13 punti in classifica, resta sempre uno spettacolo pur non valendo lo scudetto. E anche questa volta, come ad aprile, a regalare il gol più bello sarà lui, Kalidou: l’uomo dei sogni di un popolo e della speranza di un bambino.Fonte: CdS