C’era una volta un Carlo Ancelotti, il «leader calmo» al quale «piace la coppa» da divorare sotto al proprio «albero di Natale»: e ora che il tempo è sfilato via, lasciando nel salotto buono l’argenteria più pregiata, quel geniaccio (in)compreso che non riesce ad andare «a letto presto», esce per un po’ dal suo universo ristretto dal calcio, lasciando che emerga il bambino ch’è in lui: «Nel contratto che ho firmato con il presidente è inserito un regalo: De Laurentiis deve farmi incontrare De Niro». Ciak, si vira, e si entra in quel mondo mica poi tanto immaginifico che appartiene a chiunque, anche a un «padrino» del calcio (non il boss, ma il padrone) che ne ha viste tante e altrettante ne insegue, quando il pallone rotola a bordo campo, dove poi c’è la vita che può essere da «Toro scatenato» o da «Cacciatore», basta scegliersi il ruolo che fa per sé, e che introduce in una sfera quasi intimistica svelata a «Il Napolista» in cui l’Ancelotti del Terzo Millennio emerge nel proprio (inevitabile) mutamento caratteriale. Fonte: CdS