Quindici anni (circa): quindici anni da quell’agosto d’un caldo insopportabile, con le uova che volavano intorno al Tribunale, mentre Napoli ribolliva pure d’ira e di rabbia. Quindici anni fa non c’era più niente, ma realmente: rasero al suolo il calcio, sgonfiarono il pallone e svuotarono una città piegata in due, su se stessa. Ne accaddero di cose, in quell’estate torrida, e quando poi a un certo punto pareva fosse (definitivamente) finita, quando Gaucci portò via quel senso d’inadeguatezza, quando la classe imprenditoriale finì per non riuscire a racimolare che qualche milionata di euro, quando alla Fallimentare si presentò Aurelio De Laurentiis e con uno scatto bruciò Giampaolo Pozzo, nessuno avrebbe osato sospettare che sarebbe cominciata un’atra vita. «E noi ora non abbiamo paura di nessuno. Andiamo in Europa da nove anni e abbiamo un grande allenatore come Ancelotti: saprà guidarci verso una meta sicura, siamo affascinati da una città come Salisburgo. Siamo stati abbastanza fortunati nel sorteggio, potremo godere di una bella città e forse di una gara più agevole di altre. E se il Napoli dovesse arrivare alla finale di Baku, allora sarà divertente». Baku è là in fondo, da Dimaro-Folgarida la si può solo immaginare, oltre le telecamere e il microfono di Sky, oltre le piaghe lasciate da quella semifinale del 2015, la somma ingiustizia perpetrata da un arbitro incapace di cogliere un fuorigioco di mezzo metro e forse più. Baku è un traguardo o anche un sogno, ognuno decida per sé, che rimane lì, aggrappato ai desideri di De Laurentiis che ci pensa e finge di non farlo, perché ce ne vorrà per arrivarci (eventualmente). «E’ inutile fare previsioni. Andiamoci piano, gara dopo gara, c’è tanto da fare e non va trascurato il campionato. C’è sempre questa abituale sensazione di scoramento nei tifosi. Se non sono primi, non sono contenti. Ma non vince solo chi arriva primo». Fonte: CdS