L’insolente piedino sinistro di Massimo Palanca, 65 anni, avrebbe ancora tanta voglia di fare ancora gol dalla bandierina. Come ai tempi in cui era il Rey di Catanzaro, prima di approdare a Napoli, nell’estate del 1981. Ecco quanto detto in un’intervista rilasciata alle pagine de “il Mattino”.
Pagato 1,5 miliardi di lire. «Sì, allora con i miei tiri da calcio d’angolo risolvevo le partite. Ne feci tredici prima di arrivare in azzurro e mi hanno dedicato anche un libro per questo. Ecco, adesso avrei bisogno di uno di quei colpi magici per tirar fuori la mia gente da questo momento drammatico». La sua gente è quella delle Marche. Il suo dramma è il terremoto del 2016.
Palanca, piedino di fata. È così complicata la situazione? «Avevo un negozio di abbigliamento nel centro di Camerino, a pochi passi dal Duomo. Ora lì non c’è più nulla, è zona rossa. La bestia ha cancellato le nostre vite. Ma peggio della bestia è l’abbandono totale di questi anni: la zona rossa è tutta chiusa, blindata dai militari e non si vede l’inizio della ricostruzione. A volte mi viene voglia di dire: datemi un pallone che ci penso io a risolvere tutto con il mio sinistro… Ma non è così semplice».
Un piccolo, gigantesco, sinistro taglia 37. E chi se lo scorda. «A Catanzaro nessuno. Prima di spostarmi a Castelraimondo, dove continuo ad avere un negozio che gestiscono mia moglie Rosanna e mia nuora Noemi, mentre io vado a pagare le bollette e le tasse (ride, ndr), a Camerino passavano tanti ragazzi calabresi che studiavano all’università. D’altronde, il baffo ce l’ho sempre, anche se è diventato grigio. E quante foto che mi facevano. E quanti video: Dai, che lo mandiamo a mio padre che era un tuo fan. Roba che mi ha sempre emozionato».
Peccato che a Napoli non ha lasciato un ricordo di gol. «Macché. Appena due e nessuno al San Paolo. Assurdo».
Anche sfortunato: due rigori sbagliati nelle prime due gare in casa. Chissà i tifosi… «No, i tifosi mi davano coraggio anche dopo gli errori dal dischetto in Coppa Italia prima con la Cremonese e poi con l’Ascoli. Figurati, Massimi’, nun ce pensa’ mi urlavano… Mai contestato, mai una parola contro. Il gol però divenne un incubo. E poi non tutti la pensavano allo stesso modo».
Ecco. I rapporti con Marchesi, il suo allenatore? «Mi ripeteva di stare tranquillo, perché sarei rimasto io il rigorista. Ci ho creduto, ma al primo rigore in campionato calciò Guidetti. Lì ho sentito il rumore dei vetri in frantumi. Non chiesi nemmeno spiegazioni. Ma la prova che si era rotto tutto la ebbi in Jugoslavia, nella gara di ritorno di Coppa Uefa con il Radnicki Nis. Avevamo fatto 2-2 all’andata e dovevamo vincere: entrai sullo 0-0 ma un delinquente mi diede una ginocchiata dolorosissima. Io continuai nonostante la sofferenza. Finì la gara e Marchesi davanti a tutti mi accusò di non aver chiesto la sostituzione e in pratica mi diede la colpa della qualificazione fallita».
E i compagni? «Ma no, con loro non c’era invidia. Io ero stato il vice capocannoniere l’anno prima, dietro a Pruzzo e davanti a Pellegrini. Tutti aspettavano i miei gol per lo scudetto, ma purtroppo non si crearono le condizioni per poter dare il mio apporto. Ma con Claudio (Pellegrini, ndr) ci vediamo ancora adesso, perché viviamo non molto distanti. Prima del terremoto i rapporti erano più costanti, ma la bestia non ha lesionato solo le case, ma anche le relazioni sociali. Ha delocalizzato i nostri sentimenti e le nostre amicizie».
Prima stagione al Napoli, nel 1981-1982 e un solo gol. Al Cesena. È l’inizio del tunnel? «Sì, all’improvviso tutto va storto. L’estate del 1981, a 28 anni, avevo toccato il cielo con un dito quando il ds del Catanzaro Landini mi aveva chiamato per dirmi che avevano raggiunto l’intesa con il Napoli. Incontrai Janich ed ero l’uomo più felice della terra. Non avrei mai lasciato la mia Calabria per un posto dove non ci fosse stato il mare e il sole. Napoli era la grande città, la grande squadra: era un sogno che si realizzava».
Dodici mesi dopo… «Mi scaricano in serie B. Incredibile, ma vero; l’estate prima avevo mezza serie A che mi cercava e poi finisco a Como. Senza spiegazioni. Vabbé, ricomincio daccapo, chi se ne importa. Firmo per due anni, ma senza saperlo c’è una clausola nel contratto di cessione: una opzione che il Napoli aveva fatto per prendere Galia. A fine anno, Juliano rinuncia a Galia, io apro i giornali e scopro che devo tornare a Napoli. Trovo Santin, mi pare l’uomo giusto per il mio rilancio. Poche settimane e viene esonerato. E chi torna? Marchesi. E lì capisco che sono al capolinea».
E tutti si scordano di lei? «Tutti. A fine stagione, il Napoli mi lascia a piedi. È l’estate di Maradona, figurarsi se pensano a me. Penso che una squadra, in ogni caso, l’avrei trovata. Macché. Non mi arriva una telefonata, neppure per sbaglio. Chiedo a quelli del Foligno, in C2 di allenarmi con loro perché sono vicino casa. Accettano. Il silenzio continua e allora resto. Finché due anni dopo mi richiama il Catanzaro».
Dove avrebbe giocato anche gratis? «E infatti vado gratis. Senza prendere una lira. Avevo 33 anni e tutti dicevano che andavo lì a prendere la pensione, per svernare. Ho vissuto una seconda giovinezza anche se in serie A non ho mai più giocato».
Che storia assurda. «Dalle stelle alle stalle senza mai capire perché. Il calcio non ha cuore, non ha passione, non ha valori. Tritatutto. Pruzzo quando l’ho incontrato di nuovo se lo chiedeva esterrefatto: ma come è possibile che sei sparito nel nulla? Non sapevo che dirgli».
La foglia morta di Corso, ma anche il tiro dalla bandierina di Palanca. «Già anche il Frosinone segnavo così. Ho sempre solo pensato che tra un calcio di punizione e un calcio d’angolo non ci sia tutta questa differenza. Cambia un po’ la distanza, ma per il resto bastava mettere il piedino al posto giusto, sotto la pallone».
Con il 37 era più semplice? «Per certi versi sì. Però i miei gol li devo anche a Claudio Ranieri: si piazzava davanti al portiere avversario e ogni volta inventava qualcosa per distrarlo».
Gli allenatori a cui è più grato? «Gianni Di Marzo e Carlo Mazzone».
Il calcio è solo un ricordo? «Faccio il selezionatore della rappresentativa giovanissimi delle Marche. Mi diverto. Anche se quelli come me non vanno d’accordo con gli allenatori di adesso: appena vedo un ragazzino fare un dribbling o un tunnel, io gli dico bravo… Ma per tanti è come se avessero bestemmiato».
Il rimpianto? «Quel gol dalla bandierina che non ho mai segnato al San Paolo. Lo sogno ancora di notte».
La Redazione