Carratelli: “Galeone? Maradona lo chiese a Ferlaino, lo voleva come allenatore”

Mimmo Carratelli racconta Giovanni Galeone. Una filosofia, un modo di essere, l’espressione, attraverso il calcio di un uomo libero. Libero di capire: “La sera andavamo a Pescara. Da Napoli, tre ore e mezzo di macchina veloce, andavamo da Giovanni Galeone, l’ultimo incantatore del pallone. L’appuntamento era da “Eriberto”, lo chalet-ristorante sul lungomare. Diceva: “Trecento metri di corsa, chi arriva ultimo paga”. Poi pagava sempre lui, Giovanni Galeone. Faccia bruna intarsiata di rughe da simpatico gaglioffo francese, capelli mesciati dal sole, fumatore accanito di Marlboro Rosse, appassionato di jazz. Galeone era il re incontrastato di una banda di scatenati viveur, un mondo scomparso, una favola da raccontare oggi che il calcio non è più favola, ma corsa e milioni di euro, pressing e marcature a scalare, selfie, 4-3-3, 4-2-3-1, un pallone quantistico, l’albero di Natale e l’uovo di Pasqua.
Giovanni Galeone: “Il mio Pescara – diceva. – Nessuno gioca come il mio Pescara. Ho un gioco nuovo che sbanca. I miei centrali di difesa respingono il pallone con le mani in tasca. Eleganti, sicuri. Non esaspero fuorigioco e pressing come Sacchi. Presso solo quando posso conquistare la palla in una zona importante del campo. Se vai a pressare chi sa palleggiare, chi sa spostare la palla e ti fa correre, finisci con la lingua fuori e ti frega in contropiede. Sacchi esalta l’orchestra, io preferisco un Pollini al piano che non legge lo spartito”. Il milanese Maurizio Pollini era un grande pianista di quegli anni. 
Col suo Pescara, appena promosso in serie A, anno 1987, a Napoli impazzava Maradona, Galeone andò a battere l’Inter del Trap a San Siro. Maradona l’avrebbe voluto allenatore a Napoli. Lo chiese a Ferlaino, ma non se ne fece niente. Ci venne in una annata sbagliata, nella balorda stagione dei quattro allenatori (1997-98). Riuscì a spremere una sola vittoria in 15 partite da una banda azzurra allo sfascio. “Ho vissuto a Trieste, Genova, Pescara. Sono un uomo di mare. Devo avere spazi davanti, devo sentirmi libero. Libero di capire, soprattutto”. Così dice. Non sembra invecchiato sotto la corteccia di mare e di sole. Il calcio d’oggi lo guarda “da lontano”. Adesso il mondo di Galeone è il mare. Il pallone resta a riva, sotto un ombrellone chiuso”

Fonte: CdS

 

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