Caruso: “Mai fatta una corsa senza dolore, ma non sono mai stato solo”

Ciro Caruso era destinato ad essere un top player della difesa. Gli infortuni ne hanno limitato una carriera che da tutti gli addetti ai lavori veniva definita brillante. Ai microfoni de Il Mattino ricorda proprio quei momenti, ma anche le persone che si è sempre ritrovato vicino e l’emozione di indossare la maglia del Napoli…

E tutti le sono stati vicino anche durante gli infortuni? «Tutti. Perché eravamo e siamo un grandissimo gruppo. Per me non era affatto facile perché sono stato martoriato dagli infortuni. Avrei voluto fare una corsa senza dolore. Ma non è mai successo. Solo l’amore per lo sport mi ha dato la forza per andare avanti. Non so quanti sarebbero riusciti. A 17 anni mi sono rotto crociato, menisco e capsula in allenamento. Ma ho avuto un gruppo di compagni unico. L’augurio che faccio a tutti i giovani è quello di ritrovarsi in uno spogliatoio come quello».
Però ha superato ogni infortunio sempre al meglio. «Merito anche dei medici che mi hanno seguito: il professor Mariani, il dottor De Nicola e Vittorino Testa».

E le persone alle quali era più legato in azzurro? «Oltre Fabio Cannavaro nello spogliatoio ero legatissimo un po’ a tutti. Ma in particolare modo al capitano Ciro Ferrara, a Pino Taglialatela e Raffaele Di Fusco. Anche nella dirigenza c’erano persone eccezionali come Filippo Fusco e Giorgio Perinetti. C’è anche un’altra persona alla quale sono legatissimo: Giulio Pazzanese, dirigente che mi è stato molto vicino ai tempi dell’Ischia».
In campo, invece, chi è l’allenatore che le ha dato di più? «Sicuramente Gigi De Canio. Anzi, credo che se non ci fosse stato lui avrei smesso molto prima. Non è mai partito prevenuto nei miei confronti e mi ha dimostrato che nonostante gli infortuni poteva gestirmi al meglio e mi ha insegnato veramente tanto».
Il primo giorno con la maglia del Napoli se lo ricorda? «Come fosse ieri. Perché nelle persone che erano sugli spalti rivedevo me il giorno prima. Sapevo perfettamente quello che la gente mi trasmetteva. Pensavo a mamma Anna, papà Luigi, i miei fratelli e alla mia fidanzata Mena. Sapevo i sacrifici che avevano fatto per me ed era una gioia infinita. Per un bambino napoletano vestire la maglia del Napoli è il sogno più bello. Diciamo la verità: le prime parole che da queste parti impara un bambino sono Mamma, papà e forza Napoli».

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