Olivier Dacourt: “E’ questione di ignoranza, ma anche di una certa politica”

Una vita da mediano, spesa sui campi di calcio e a lottare contro il razzismo. E’ la vita di Oliveir Dacourt che, ad un mese esatto dagli episodi di San Siro, ricorda quanto accaduto a Koulibaly e dice: «Kalidou è un tipo straordinario, volevo tirargli su il morale con un messaggio, ma non ce ne è stato bisogno, ha già battuto i razzisti con il suo cuore d’acciaio». 
Oggi Dacourt, origine africana e passaporto francese, fa il reporter per la tv francese, raccontando il calcio nei suoi aspetti più difficili. Dopo un primo reportage sui baby-calciatori schiavi, in Francia, per Canal Plus ha prodotto «Io non sono una scimmia». 
Con quale intento? «Tutto è nato da Cagliari-Juve esattamente un anno fa (7 gennaio 2018, ndr): dai cori contro Matuidi. Ho viaggiato molto, ne ho parlato con grandi campioni di colore come Eto’o, Umtiti o Balotelli. E ho maturato una convinzione, anche dopo il caso Koulibaly. Il razzismo nel calcio è dettato dall’ignoranza, ma anche dalla politica che entra negli stadi, da un certo vento di estrema destra che è entrata con violenza negli stadi». 
Il suo reportage è andato in onda pochi giorni fa, mentre in Italia si discuteva dei cori contro Koulibaly nella gara contro l’Inter. «Anche in Francia si è molto discusso del caso. Anzi, c’è chi mi ha accusato di speculare, in realtà era tutto già concordato con l’emittente. Quando ho contattato Kalidou per manifestargli la mia solidarietà, gli ho spiegato che non merita questo schifo, che è un grande campione ed un uomo ancora migliore. Ma, una piaga del genere, a dirla tutta, condiziona il calcio italiano». 
Ora, però, si rischia di scivolare nei soliti luoghi comuni. «Non è così. Le porto un esempio concreto: non farò nomi, ma due calciatori francesi di prima fascia hanno rifiutato in tempi diversi di andare alla Juventus e in un altro club italiano perché si sa che in Italia questa piaga del razzismo è più difficile da debellare». 
Ancelotti, anche nella conferenza di ieri, è tornato sul tema dei cori discriminatori, parlando di atti concreti. Che ne pensa? «L’Italia dovrebbe esser grata a Carlo. Avevo già una grande stima di lui, sia come calciatore, sia come allenatore. Ora, Ancelotti sta riabilitando l’immagine dell’Italia agli occhi dell’Europa, è un aspetto importantissimo. Così come lo è stato il messsaggio di CR7: è più scontato che un altro calciatore nero manifesti la sua solidarietà, lo è molto meno che lo faccia uno che nero non è e si chiama Cristiano Ronaldo. Le testimonianze di Carlo e di CR7 sono quelle che non fanno dire più no all’Italia a un calciatore di colore».
Giusto dare la fascia di capitano a Koulibaly questa sera contro il Milan? «Non serve assolutamente a nulla. L’unica cosa che conta è fare gesti concreti, gli stessi di cui parla Ancelotti. Se dagli spalti arrivano i cori, allora, le due squadre si fermano. Tutti e ventidue in campo tornano negli spogliatoi. Capisce che potenza mediatica avrebbe un atto del genere? Farebbe il giro del mondo in pochi secondi». 
Che effetto le fa parlare ancora di razzismo nel 2019? «Orribile. Ricordo che avevo dieci anni quando seguivo il Marsiglia e lanciavano banane a Joseph-Antoine Bell, il primo portiere nero nella storia del campionato francese. Chiedevo a mio padre: perché lo fanno? Sono passati più di trentacinque anni, avete visto quello che è successo in Inghilterra qualche mese fa? La stessa cosa: è assurdo». 
La risposta in Inghilterra è stata immediata: quel tifoso in Tottenham-Arsenal che lanciò una buccia di banana ad Aubameyang è stato bandito a vita dallo stadio. «Infatti, non capisco perché in Italia non ci sia la stessa severità».

Fonte: Il Mattino

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