Lascia l’amaro in bocca il ricorso respinto sulla sentenza Koulibaly. E non solo per questioni calcistiche, anzi, forse quello è l’aspetto meno importante. Mattia Grassani ne parla ed esprime la sua opinione sul Corriere dello Sport:
“La delusione (non solo professionale) è enorme, la conferma della squalifica del difensore franco-senegalese è stata una tremenda mazzata. Senza troppi di giri di parole. La ragione, però, stava dalla parte di Koulibaly e l’accoglimento del ricorso, con conseguente annullamento dello stop erano nell’aria, più probabile che non. Invece, a metà pomeriggio di venerdì, il verdetto definitivo della Corte Sportiva di Appello della Figc ha stroncato ogni speranza. Bisogna, però, ripartire, e subito, evitando dietrologia e caccia alle streghe. Ormai Kalidou guarderà Napoli-Lazio dalla tribuna del San Paolo, dobbiamo farcene una ragione, il diretto interessato, forse, farà più fatica. Una cosa, comunque, è certa: lo sport, il calcio, tutti noi, abbiamo perso un’opportunità enorme per dare un fattivo contributo nella lotta al male più insinuante, odioso ed inaccettabile dell’intera società. Chi discrimina, divide, insulta, odia per ragioni di pelle, religione, provenienza, sesso non merita una seconda chance. Va bandito a vita dal contesto in cui commette tali comportamenti, siano stadi di pallone, luoghi di lavoro, ospedali, chiese, piazze, bar. Si sente dire in giro che i soggetti chiamati a combattere tale piaga siano privi degli strumenti adeguati, su questo concordo, ma l’applicazione automatica delle norme, del regolamento, come è stato fatto per il giocatore azzurro, snatura anche la funzione fondamentale di qualsivoglia organo giudicante. Fare giustizia, con la G maiuscola.
Non abbiamo bisogno, in questo momento emergenziale, di Corti burocratizzate o che esercitino attività meramente notarili. Il buon senso, la valutazione della singola fattispecie, la natura eccezionale e straordinaria dell’accaduto, i fondamentali valori della dignità umana in discussione, le attenuanti ed esimenti deponevano, all’unisono, per un’unica conclusione: prosciogliere Koulibaly. Oltre a chiedergli anche scusa, perché il calcio è sano nella sua parte più numerosa e lo sfregio andava cancellato.
Solo ragionando ed operando in questo modo, si fornisce un contributo decisivo alla causa, ciascuno nel proprio ruolo. Diversamente, si finisce, addirittura, per penalizzare doppiamente la vittima del reato, perché di codice penale stiamo parlando, in quanto non comprendere le motivazioni del gesto (un applauso, mica uno sputo, un insulto….) significa vivere disancorati dalla realtà e condannare due volte l’uomo. Koulibaly lo ha detto a chiare lettere alla Corte Sportiva: «Non mi sentivo protetto, l’arbitro non stava intervenendo adeguatamente di fronte ai ripetuti corsi razzisti nei miei confronti». Ma se la tutela di un diritto fondamentale, insopprimibile, quale quello della dignità umana, che un calciatore chiede, in campo, all’arbitro, massima autorità in materia, non viene garantita, si può squalificare chi, con un battito di mani, ha fatto notare tutto ciò al direttore di gara? Allora, rimbocchiamoci le maniche, adeguiamo i regolamenti, educhiamo i giovani ed i meno giovani, interveniamo contro chi sbaglia, ma ammettiamo, noi per primi, di avere sbagliato ed impegniamoci ad essere, da oggi e per sempre, un po’ più Kalidou Koulibaly. Uno di noi”.