Mertens in pillole, anno per anno, studiandone non solo il rendimento ma anche il mutamento, un’evoluzione indiscutibile di un attaccante esterno divenuto poi centravanti. Il Mertens del 2013, il primo acquisto dell’era Benitez, la magica coincidenza tra una richiesta dell’allenatore spagnolo e l’idea di Bigon, costa dieci milioni di euro, arriva e fa tanto turn-over: colleziona 47 presenze, ma sono in realtà 2600 minuti effettivi, con undici reti e dodici assist, una “doppia-doppia” direbbero quelli del basket. Seconda stagione, numeri simili: 53 le partite, 3165 i minuti, altri dieci gol e dodici assist. Nella terza, la prima di Sarri, si abbassa un po’ la sua media: ne gioca 40 segna ancora undici gol ma confeziona “solo” sette assist. L’esplosione è alla sua quarta annata napoletana e dopo l’infortunio di Milik, quando Sarri gli disegna addosso il ruolo di prima punta, tentazione già emersa nel ritiro di Dimaro-Folgarida, subito dopo l’addio del pipita: 46 partite, 3215 minuti giocati, ma 34 gol (28 in campionato, uno in meno di Dzeko, il capocannoniere) e ben 15 assist. Impressionante. Quasi come nella sua seconda stagione da prima punta, in cui qualcosa però paga: i gol diventano ventidue, gli assist sono dodici e però il Mondiale e anche il minutaggio (3807 durante l’intera stagione) qualcosa tolgono. Quest’anno sono undici gol e sei assist: ma se ne è andata solo mezza stagione. Centouno reti complessive, gliene mancano venti per agganciare Hamsik, il capocannoniere di tutti i tempi. Fonte: CdS