Damiano Tommasi, leader Calciatori, si è raccontato così a Il Mattino:
«Mi aspettavo di più da tutti. Invece mi pare che poco o nulla sia cambiato. Tante buone intenzioni, tante parole. Mi aspettavo decisioni più nette. Ma non ho avvertito questa secca presa di posizione che serve in un momento del genere».
Perché manca al calcio il coraggio di prendere certe decisioni?
«Forse non tutti hanno la percezione della gravità della situazione, probabilmente. Tante parole ma troppi ma, forse, faremo… ».
Sembra deluso.
«Noi vogliamo fermare i cori, non le partite e ci sono regole molto chiare a tal proposito. Sono state messe in discussione e questo non aiuta a creare quel clima di certezze che contribuiscono a fronteggiare meglio certe situazioni divenute insopportabili. Mi aspettavo un segnale chiaro: quali sono i tifosi che vogliamo?».
Salvini ha espresso tutti i suoi dubbi sulla possibilità di sospendere le partite in caso di cori offensivi: chi distingue un coro razzista da uno sfottò?
«Per adesso, e fino a provvedimenti contrari, il protocollo c’è ed è funzionante. Figc, Fifa e Uefa hanno delle campagne sul rispetto chiare. Dobbiamo attenerci alle regole, sappiamo quali sono i comportamenti che sono tollerabili e accettabili all’interno dello stadio. Ci sono regole federali e bisogna rispettare le normative esistenti. Chi viene da fuori, come Ancelotti, avverte il clima dell’insulto libero e al quale rischiamo di farci un’abitudine. Non è la normalità insultare. E chi viene dall’estero come Carlo lo percepisce subito».
Cosa c’è da fare per migliorare lo sport più amato dagli italiani?
«Ci vuole più di incisività su determinate scelte. Cioè su chi vogliamo allo stadio, quali cori vogliamo sentire. Presenteremo a fine mese il nostro report: è solo una anagrafica degli insulti, un termometro della situazione con le minacce e le violenze che si respirano nel nostro calcio anche a livello dilettantistico. Non è un effetto collaterale al razzismo».
Dovesse decidere solo Tommasi cosa fare?
«Bisogna essere intolleranti con gli intolleranti. Gli stadi hanno delle zone franche che mica possiamo accettare».
Cosa teme?
«Che a un certo punto la gente si stanchi di sentire promesse, parole e di continuare ad avere stadi in queste condizioni e di dover correre dei rischi ogni volta che assiste a una partita. Per questo mi aspettavo di più da quel tavolo. Volevo anche una scadenza, mi aspettavo una data entro cui fare dei provvedimenti. Ma non è successo».
Il primo passo?
«Alzare il livello dell’attenzione. Non è normale vivere il calcio in questa maniera: ci diamo pacche sulle spalle quando ci sono solo insulti e non incidenti. Non è così che si può andare avanti. In altri Paesi la convivenza civile negli stadi è la normalità: ci indigniamo se altrove negli stadi ci sono limitazione negli accessi (il riferimento è alle polemiche per la Supercoppa in Arabia, ndr) ma quello che succede da noi non è grave alla stessa maniera?».
Il Napoli fa sapere che si fermerà in caso di cori. Condivide?
«Certo. È la regola. Non mi pare che l’altro giorno sia cambiato qualcosa. Interrompere la gara significa sensibilizzare. Poi è il delegato alla sicurezza a decidere se sospenderla o no».