Il Napoli si è buttato nella crociata anti-razzismo con fede assoluta, e a testa bassa. Lavorandoci, credendoci, impegnandosi. Non c’entra il calcio, non è una difesa a spada tratta del Santo Sepolcro. Il Napoli, De Laurentiis e Ancelotti hanno intenzione di impartire un’altra lezione del calcio al resto del mondo. «Noi ci fermeremo al primo coro di discriminazione territoriale e al primo buu razzista. Le regole sono queste e vanno rispettate». Già, le regole. L’altro giorno, al termine dell’adunata voluta dal Viminale, Matteo Salvini ha intimato alle istituzioni del pallone il dietrofront: «Le gare non vanno fermate per i cori. Sono convinto che chiudere le curve e sospendere le partite per colpa di pochi delinquenti sia la sconfitta del calcio», ha ribadito ancora una volta. Ma il calcio ha fatto spallucce. Senza andare allo scontro. Evitando di smentire il vice premier. Il Napoli no. Il Napoli, invece, sia pure senza comunicati ufficiali, fa sapere che non ha cambiato idea. «C’è un protocollo e va rispettato. Non lo rispettano, ci fermiamo noi e poco importa se gli altri ci fanno gol», la posizione di Ancelotti sostenuta senza se e senza ma da De Laurentiis. Una lunga corsa, iniziata già qualche mese fa dal tecnico rientrato in Italia dopo 9 anni e che ha trovato la mano tesa di quasi tutti i tecnici italiani (solo Allegri e Gasperini hanno mostrato delle perplessità): prima l’indignazione per i cori di insulti che a ogni gara riceve, poi la minaccia di fermarsi nella gara di Bergamo nel caso in cui vengano cantati dagli ultrà i soliti canti beceri e le solite rime orrende di chi spara parole come petardi.
Fonte: Il Mattino