Graziano Cesari arbitro internazionale e ora è moviolista a Mediaset ai microfoni de Il Mattino.
Come sarebbe stata la sua vita da direttore di gara con la Var? «Bellissima. Avrei camminato per il campo col televisore in tasca, a ogni dubbio mi sarei rifugiato nelle immagini, anzi avrei rivisto l’azione pure se non avevo dubbi. Proprio non riesco a capire chi non lo fa».
Una risposta ce l’avrà. Perché non tutti si fermano e vanno a rivedere al monitor?
«Forse è presunzione. Forse c’è sacralità nel proprio ruolo. Forse per alcuni il monitor è un nemico invece che un amico. Ma ormai gli arbitri di adesso devono capire che il loro ruolo in campo è funzionale ed è totalmente al servizio del calciatore. Molto di più di come era ai miei tempi».
Che giudizio dà alla Var?
«Negativo. Peraltro mi imbarazza l’idea che nella fase del rodaggio, l’anno scorso, è andata meglio rispetto a quest’anno. Peraltro nel mezzo c’è stata l’esperienza del Mondiale dove la Var è stata un esperimento straordinario, applaudito da tutti. Ora sono troppi gli episodi da cui scaturiscono polemiche, controversie. La prova è che lo stesso presidente dell’Aia è stato critico negli ultimi tempi. Certo è che un magnifico attrezzo tecnologico sta diventando un grande problema».
Cosa la fa arrabbiare di più?
«Quelli che si ostinano a non andare al monitor. Mi fanno incavolare. L’altra sera in Atalanta-Lazio c’è stato uno stop di 3 minuti e 35 secondi per prendere una decisione. Ma alla fine chi ha potuto dire qualcosa? Il Var ha portato giustizia, non fermarsi come ha fatto Guida nel derby di Torino mettendo in discussione quello che ritiene di aver visto, non aiuta a dare credibilità al proprio operato. Ed è un peccato».
Come sarà stato il suo giorno dopo? O quello di Di Bello, l’arbitro di Roma-Genoa?
«Come lo erano i miei quando mi accorgevo di aver commesso un errore: un disastro. È un dramma psicologico che ti fa stare malissimo. Anche se per loro sarà persino peggio: perché hanno a disposizione l’àncora di salvezza e non vi fanno ricorso».
I tifosi sono confusi.
«Hanno ragione. Ora negli stadi, con la tecnologia attuale, sanno in tempo reale se il fallo è da rigore oppure no. Difficile da mandar giù certi atteggiamenti. L’arbitro ha il diritto di sbagliare, ma anche il dovere di cambiare idea».
Un’idea potrebbe essere quella che siano gli allenatori a invocare la moviola una volta o due a partita?
«Sì, un bel passo in avanti. Ci sto. Mettere davanti a delle immagini un arbitro potrebbe spingerlo a fare retromarcia su una propria convinzione errata. Poi è giusto che i tecnici abbiano anche questo potere: tutto è cambiato in questi anni, anche il loro ruolo».
E se ci fosse una cabina di regia unica come in Russia?
«In Russia ha funzionato perché c’era la consapevolezza di avere varisti specializzati solo alla lettura delle immagini. Ecco, servono anche in Italia. L’arbitro che la domenica ha il fischietto in bocca non può poi la domenica dopo andare al Var o fare l’addizionale. Il problema è che al Var non c’è uno specializzato, ma uno che poi fa il quarto uomo, l’assistente e qualche volta ha il fischietto, senza allenarsi e specializzarsi solo nella Var».
E se alla Var ci fossero anche ex calciatori?
«Assurdo. Deve conoscere il regolamento alla perfezione».
Il suo sogno?
«L’arbitro alla Var che vede l’immagine, richiama il direttore di gara e poi all’altoparlante, mentre sul tabellone dello stadio vanno le immagini, spiega perché è cambiata la decisione. Sarebbe meraviglioso»
È arrivato il momento per gli arbitri di parlare al termine delle partite?
«Certo. Il ruolo dell’arbitro è antipatico ma ci sono arbitri che possono sostenere qualsiasi tipo di confronto».
Cairo parla di sudditanza?
«Non lo so. Ma in generale nella vita di tutti i giorni c’è…».
Fonte: Il Mattino