Carratelli racconta Fabio – Quagliarella è arrivato a 35 anni e non finisce di stupire

Fabio Quagliarella è un barone rampante, un visconte dimezzato e un cavaliere inesistente? Questo e quello. E’ Quagliarella, l’attaccante dei tiri speciali. E’ il più illustre degli emigranti del pallone, sempre in viaggio, Torino, Firenze, Chieti, Ascoli, Udine, Napoli, Genova, ultima fermata Sampdoria. Dove passa lascia il segno. Un colpo di tacco, un tiro al volo dalla distanza, un pallonetto, una rovesciata. Il gol sempre in confezione speciale. Ha un cassetto con otto maglie che farebbe invidia a un collezionista, la maglia granata, la maglia viola, una maglia nero-verde, una bianconera di provincia, un’altra bianconera e friulana, la maglia azzurra del cuore e del patimento, la maglia bianconera vincente, la maglia blucerchiata. 

 

È arrivato a 35 anni e non finisce di stupire come fa lui, che c’è e non c’è, ma c’è sempre al minuto opportuno e al momento geniale. E’ alla terza giovinezza, campionato di bellezza, col mare di Genova che gli ricorda il mare di Napoli, e la maglia della Sampdoria ha il fondo azzurro e gli ricorda la maglia del Napoli, e gioca a Marassi e c’è vicino la stazione di Genova Brignole come, a Napoli, c’è la stazione dei Campi Flegrei vicino al San Paolo, ma lo stadio “Luigi Ferraris” è compatto e quadrato e questo proprio non gli ricorda l’ovale spettacolare del San Paolo, la sua nostalgia perenne. 
Nato a Castellammare di Stabia, dove il golfo delle sirene curva verso la penisola sorrentina, ha Napoli nel cuore e nel Napoli, dove arrivò nel 2009 per un passaggio rapido, solo 37 partite e 11 gol, avrebbe voluto giocare per sempre. Una serie di missive anonime, ricatti, bugie, convegni amorosi inventati, legami incerti e pericolosi ma soprattutto menzogneri, interruppe il sogno. E’ stato condannato, nell’ottobre scorso, l’ispettore di polizia postale Raffaele Piccolo che inviava le lettere anonime al giocatore e al Napoli, mettendolo in cattiva luce e provocando la fine dell’avventura azzurra. Condannato per stalking, il reato di persecuzione.
Sul momento, quando passò alla Juventus, e nessuno sapeva ancora dello stalker, Fabio fu bollato da traditore. Un’accusa ingiusta. Quagliarella lasciò Napoli con la morte e la maglia azzurra nel cuore. Ed ora c’è da giurare che le sue prodezze, andando via da Napoli, 30 gol con la Juve, 32 col Torino, 57 con la Sampdoria, hanno una matrice unica, e la matrice si chiama Napoli.
Segna “occasionalmente” per le squadre in cui è andato, dopo la breve vita nel golfo azzurro. In realtà segna come fosse sempre del Napoli, come se continuasse a giocare col Napoli. I suoi gol sono in tutto e per tutto napoletani. L’estro, la voglia, la passione che ci mette è perché sotto le maglie “straniere” ha un’invisibile maglia azzurra.
I media e gli almanacchi non lo dicono, ma Fabio Quagliarella continua a segnare per il Napoli. E’ il sogno che dura, è il segreto delle prodezze, è come se dicesse ogni volta Napoli mio vedi come faccio gol, come ci riesco ancora, sempre, perché gioco come se giocassi ancora con la tua maglia.
Al San Paolo si presentò a fine agosto del 2009, il Napoli contro il Livorno, seconda giornata di campionato. Fabio mise a segno due gol, ma lo stadio fu stregato dalla prodezza che non scosse la rete livornese. Fu quando, sullo 0-0, con un colpo da biliardo, la stecca del suo piede destro, calciò il pallone da 40 metri, il pallone s’innalzò nel cielo di Fuorigrotta, accompagnato dall’ooooh della folla, e andò a stamparsi sulla traversa di Alfonso De Lucia, il portiere nolano del Livorno, ricadendo al di qua della linea, salutato da un boato di stupore e meraviglia.
C’era già stato, Fabio, al San Paolo vestendo la maglia dell’Udinese e con quella maglia, a fine gennaio 2009, prima di trasferirsi al Napoli, segnò agli azzurri un gol esplosivo dal limite dell’area, la girata al volo che valse il pareggio degli ospiti (2-2). Fu la prodezza che convinse De Laurentiis a ingaggiare il giocatore stabiese e tutto fu possibile per la disponibilità del presidente friulano Pozzo e il trasferimento di 16 milioni a Udine che bruciò l’interessamento della Juventus. Donadoni era l’allenatore del Napoli che, da commissario tecnico, aveva convocato Fabio per la prima volta in nazionale.
Sembravano tempi felici, Fabio ghiotto di gol e della focaccia, pancetta piccante, funghi e pomodorini, che gliela preparavano i suoi amici Gerardo e Anna Maresca titolari del panificio “Dolce Forno” a Castellammare di Stabia. Ma, sopraggiunto Mazzarri, qualcosa andò storto. L’intesa con Lavezzi si arenò, Fabio (carattere introverso) si isolò, sembrò che nessuno più gli passasse la palla e le missive anonime dello stalker fecero il resto. Quagliarella fu ceduto alla Juventus, 26 agosto 2010. In azzurro arrivò Cavani.
Il 24 giugno 2010 giunse da Johannesburg l’ultimo squillo napoletano di Quagliarella. La nazionale di Lippi, sopraffatta dalla Slovacchia nella partita di addio dell’Italia al Mondiale, ebbe un finale di passione a ardimento quando entrò in campo Fabio (46’ per Gattuso). Fu una scossa per la squadra abbacchiata in Sudafrica. Fabio sfiorò subito un gol, diede a Di Natale la palla che rimise in gioco l’Italia, firmò con un pallonetto magico la seconda rete azzurra. La prodezza non valse il passaggio del turno, ma a Napoli fu festa perché Fabio era ancora del Napoli ed era stato in tutto e per tutto un gol mondiale.
Andò via il ragazzo dei primi calci sul campo Spinelli di Castellammare, dove arrivava sulla Vespa di papà Vittorio e giocava eccitato dal Napoli di Maradona di quegli anni sognando tutta la sua futura vita di campione al San Paolo. Il pallone lo portò invece in altre città, a Torino con le giovanili granata. Aveva 16 anni. Fece i suoi giri “lontano dagli occhi, lontano dal cuore”. Col Torino segnò un gol al Napoli senza esultare, una prodezza malinconica. Strabiliò con i gol magici giocando quella prima stagione nella Sampdoria, il gol da venti metri all’Atalanta, la rovesciata a Reggio Calabria, il pallonetto contro il Chievo. Appena tre mesi fa, a Marassi, un colpo di tacco al volo. Nella porta di Ospina. Al Napoli di Ancelotti. Non fu uno sgarbo. E’ stato l’ultimo messaggio d’amore di Fabio, un gol del suo perenne rimpianto. La Samp era già avanti di due reti e quel magico tocco finale di Quagliarella non piegò il Napoli già piegato. Fu uno svolazzo che non fece male. Gli era già successo con la Juventus quando segnò al Napoli, aprile 2012 a Torino, l’ultimo dei tre gol bianconeri. Palloni mai di rabbia e di vendetta, magie inevitabili di un cuore nostalgico che tutte le prodezze sognava di farle con una sola maglia, la maglia del cielo azzurro di Napoli. 

 

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