Timidamente vera, di pensieri sinceri. Se non stai attento cadi nel suo sorriso bianco, lucente, e ti distrae. Valentina Giacinti gambe e mani sottili è la regina del gol: 190 in carriera, due volte capocannoniere, in testa anche adesso con 9 reti in 9 giornate. Sulle orme dei grandi numeri nove degli ultimi trent’anni: Carolina Morace, sua coach attuale, e Patrizia Panico. “Vale”… un numero 9 diventato 19 per rispetto della compagna Sabatino, più “anziana” di lei. Un nove nel cuore e nei piedi, soltanto celato da quell’uno, ma chi sa sa. Valentina è il gol di rapina, è i tatuaggi sul corpo che parlano di lei, è la paura dei ladri, è una chitarra, è l’amore fortunato, quello che ti ama al di là dell’appartenenza, è il sogno in essere. Di gol in gol, così leggera che non sposta nemmeno l’aria, più scoiattolo che panzer. Nel suo fiuto del gol il Milan crede. L’Italia spera.
Finalmente “professionista”! «Questo è l’anno della svolta. Faccio quello che sognavo da piccola: allenarmi e dedicarmi solo al calcio. Sembrava impossibile».
Quindi l’estero è accantonato? «Qualche anno fa ci volevo andare, perché cercavo quello che qui non c’era. Ora c’è tutto quello che voglio e non c’è bisogno di andare via. Ma se proprio dovessi andare sceglierei l’America».
Il calcio femminile è un movimento in evoluzione. «Con lo sciopero nel 2015, poi rientrato, è cambiato tutto. L’ingresso della Juventus ha fatto il resto. Sapevamo che stava per arrivare il Milan. Mi è molto dispiaciuto per il Brescia (ha ceduto il titolo ai rossoneri, ndr) che ha fatto la storia».
Cosa manca ancora? «Il calcio femminile ha bisogno di più visibilità. Sky ha già fatto fare un salto. Ma serve che i giornali importanti si occupino di noi».
Gli uomini hanno capito che le donne ne capiscono di calcio? «Il maschilismo è troppo ancora. Per cambiare idea bisogna venirci a vedere».
E’ diversa questa stagione? «Il campionato è competitivo. Una volta c’era la Torres che vinceva lo scudetto a novembre. Sì, come la Juventus… Ora non è così. Tatticamente stiamo crescendo.
Le straniere fanno la differenza? «Portano qualità, cultura ed esperienza e un modo di vivere il calcio che a noi manca».
Perché il Milan? «Ho scelto il Milan quando ho saputo che lo avrebbe allenato Carolina Morace, pur sapendo che è una tosta. L’ho conosciuta e sono rimasta sorpresa dalla persona che è. È una che ti aiuta in campo e fuori. Alla prima partita, in trasferta a Bari, stava morendo mio nonno Bepino e io ero molto giù. Lei è venuta a parlarmi. Mi ha detto: vai, devi vincere il titolo di capocannoniere con me. Ho fatto quattro gol. Nonno era il mio primo tifoso. Il sabato dopo la partita non mi diceva niente, ma la domenica… Se facevo tre gol mi diceva che ne potevo fare sei!».
La sua squadra del cuore? «Da piccola tifavo Juve perché così era, ti infilavano una maglia e te la facevi piacere. Ma l’Atalanta mi emozionava e la Juve no, allora ho capito per chi tifavo».
Vive da sola a Milano? «No, condivido l’appartamento con Giuliano e Bergamaschi, io cucino e loro fanno le pulizie. La mia specialità è il risotto».
Chi sono i suoi miti? «Ero innamorata di Bobo Vieri e Gabbiadini, che è amica di famiglia, andavo a vedere i suoi allenamenti al Bardolino. Mi piaceva anche Panico però».
Il calcio è stata una scelta naturale? «Mi regalavano le bambole e io staccavo la testa e palleggiavo. Allora mi hanno portato a fare calcio sul serio, avevo sei anni. Con i maschi. Ti fai le ossa e il carattere. Non so come sia con le ragazze, deve essere bello, perché ti senti alla pari. Ma stavo bene col gruppo dei maschi. Col mio grande amico Alen siamo andati all’Atalanta, abbiamo passato il provino, volevamo voluto giocare assieme».
Avete portato l’Italia ai Mondiali dopo vent’anni di buio, che cosa si prova? «Qualificarci per Francia 2019 è stata un’emozione grandissima. Siamo un grande gruppo e questo ha fatto al differenza. La ct Bertolini ci fa sentire tutte importanti. Chi entra non si sente né titolare né riserva».
Quali allenatori le piacciono? «A Brescia avevo Piovani, e sì entrava negli spogliatoi, ma non era un problema, ci guardava come un padre. E’ bravo, ma all’inizio ho sofferto con lui, non sentivo la sua fiducia. Da Morace la fiducia l’ho avuta subito. Di ogni allenatore assorbo tutto. Gli allenatori che mi piacciono sono Gasperini e Conte».
Segue il calcio maschile? «Sì. Quando posso vado allo stadio a vedere l’Atalanta, in curva».
Che rapporto avete con i vostri colleghi del Milan e il club? «I ragazzi ci mandano il loro sostegno attraverso i social. Ho conosciuto Calhanoglu, ci siamo scambiati la maglia, e abbiamo preso a seguirci sui social. Leonardo e Maldini sono venuti a salutarci prima di partite per Roma e a Tavagnacco hanno visto la partita. Anche Gattuso ci guarda in tv se può. Gattuso o Morace? Carolina ha più grinta… se è possibile».
Ha in mente un numero di gol per questa stagione? «Non mi sono prefissata un numero. Ma non pensavo di partire così forte».
Ha superato la separazione dei suoi? «Credo di sì. Non ho rapporti con mamma e non è facile. Ma non sento la mancanza. E non ci sto più male. Per fortuna ho tanti amici vicino. A volte ti ritrovi persone che ti vogliono più bene dei tuoi familiari. E poi ho mio padre e mio fratello. Papà mi segue a ogni partita, o dal vivo o in televisione. Ho un altro fratello che vive con mia madre».
Che rapporto ha con i social? «Sono diventata molto social, anche sollecitata dal mio sponsor. Bisogna rendere partecipi tutti della propria vita. La cosa bella è che ti seguono i ragazzini e puoi trasmettere tante cose. La cosa meno bella è che se vai in giro per Milano ti riconoscono e allora non puoi sbagliare, né permetterti follie perché magari c’è qualcuno che ti riconosce, ti fotografa o ti filma!»
Cosa fa oltre il calcio? «Gioco alla play station ancora. E a calcio anche lì. Faccio giocare anche Giacinti, è migliorata eh… – ride – Se sbaglio mi posso insultare da sola».
Il futuro è sempre incerto? «Carolina (Morace, ndr) insiste perché studiamo qualcosa che ci interessi, dice che il calcio poi finisce. Io vorrei fare un corso per barman, mi piacerebbe lavorare in un bar quando smetterò di giocare. Ho studiato grafica a scuola, ma proprio non fa per me stare seduta davanti a un computer».
Il suo cane ha imparato a salvarla dai ladri? «Mi aspetta a casa di papà. Si chiama Sid, come il bradipo dell’Era glaciale, un labrador un po’ bradipo, molto buono. No, non posso contare su di lui coi ladri. Una volta ha suonato l’allarme e lui ha continuato a dormire. Quindi la paura del ladri ce l’ho sempre. Sono rimasta traumatizzata da bambina: sono entrati e hanno messo tutto sottosopra, non riesco più a stare sola. A Milano sono più tranquilla perché viviamo in un posto “recintato” come un residence».
Il suo svago fuori casa? «Mi piace andare al cinema, anche da sola quando ho bisogno di staccare da tutti. Il film che non smetterei mai di vedere è “La vita è bella” di Benigni. Il periodo nazista mi ha molto colpito quando andavo a scuola. Mi fa male, e ne ho letto molto. Voglio anche andare a vedere i campi di concentramento».
Viviamo un momento storico che vede il riacutizzarsi del razzismo, la spaventa? «Oggi vedo tanta crudeltà, ma non penso che possa ripetersi una cosa così tragica come le leggi razziali. Però… chi può saperlo».
Le sue letture preferite? «Mi piacciono le biografie. Ho letto quella di Totti, di Ibrahimovic, Del Piero e Icardi… è lui il più bello, sono innamorata di lui».
E la musica? «Ascolto soprattutto musica italiana, amo Vasco Rossi. E ho iniziato a suonare la chitarra, prendo lezioni».
Il calcio femminile è risorto? «C’è ancora molta discriminazione e sessismo. Quello che è successo a Giuliano ne è la prova. Dire “sembra un bambino” non è bello. Il cronista poi l’ha chiamata per chiederle scusa, le ha spiegato cosa intendeva, magari c’era un complimento sotto, però Manu ci è rimasta molto male. Abbiamo cercato di prenderla a ridere».
Si gira se la chiamano… «Vale. Non ho un soprannome. Però a me e Berga (Bergamaschi ndr) ci chiamano Cip e Ciop solo perché stiamo sempre assieme. Da sempre».
La Redazione