Un fiume in piena, Ottavio Bianchi lombardo di quelli tosti: 75 anni compiuti il 6 ottobre, memoria di elefante, cuore sempre in tumulto, saggio e pratico come sempre.
Perché non succede questo da noi?
«Fuori dall’Italia non è così, c’è rispetto: si tifa per la propria squadra e basta, senza star sempre lì a pensare agli altri come dei nemici. A me certe cose hanno dato sempre fastidio: ce ne erano, eccome, anche quando giocavo a calcio negli anni 60 e 70. Ma anche al Sud, mica solo al Nord, c’erano accoglienze con parolacce, insulti. Io facevo fatica a fingere di non sentire, ma sentivo sempre tutto».
Come si cambia questa deriva?
«Non lo so se basta far perdere a tavolino la gara o penalizzare. So solo che troppi maleducati vanno allo stadio, gente che non ama il calcio e che non vive il calcio come aggregazione. Il calcio non può sempre far finta di niente. È questione di rispetto, di educazione, di regole da rispettare: io da bambino, nell’oratorio di Brescia, per giocare con i grandi dovevo accettare una condizione: partecipare alla Messa. E ovviamente, accettavo. Ci insegnavano a menarci in campo, non a insultare l’avversario».
Fonte: Il Mattino