L’ex centrocampista del Napoli Eraldo Pecci ha scritto un libro sulla sua carriera: «Ci piaceva giocare a pallone: racconti di un calcio che non c’è più» (Rizzoli, pagg. 253, euro 17). Pubblichiamo il capitolo «Ai piedi del Vesuvio» sulla stagione a Napoli.
Eraldo Pecci
“La stagione 1984-85 non fu buona per la Fiorentina (…) Io fui convinto da Italo Allodi a migrare con lui a Napoli. Lì, da un anno, c’era Diego Armando Maradona e anche il resto della squadra era ok. Al secondo piano della palazzina in via Scipione Capece, ‘ncopp Pusilleco (sopra Posillipo), dove andai a vivere, abitava Diego. Ma prima di andarci ad abitare, passai cinque, sei mesi all’Hotel Royal. Fu un periodo assai piacevole, prima con Giordano, Buriani e Renica, e poi da solo. C’era gran sintonia con tutto lo staff, gente sveglia, generosa, a tratti magica. Le poche volte che mi capitava, per esempio, di salire in camera in compagnia, senza aver detto niente a nessuno, ci trovavo frutta e fiori freschi (…) Certo ero benvoluto, non lesinavo i biglietti per lo stadio, ma come facevano? Un rebus che non ho mai risolto. Vero è che ai tempi un biglietto ricevuto da un giocatore era apprezzatissimo, ma la loro genialità andava oltre. Così come l’attenzione dei camerieri, che ti trovavano sempre qualcosa da mettere sotto i denti anche fuori orario. O il barman, che non ti serviva dei caffè, ma cremini. E ancora il garagista, che non tollerava alcune caratteristiche della città. Gli dicevo: «Di cosa ti lamenti? Fuori c’è il sole, là davanti Capri, a destra Ischia e Procida, a sinistra Sorrento e la costiera amalfitana, alle spalle il Vesuvio, cosa vuoi?». «Era’ (Eraldo), ‘o presepe è bell’assai, sono i pastori che so’ ‘na chiavica».
La prima volta che andai al ristorante «Il Sarago», a Mergellina, ebbi modo di assistere a una scena meravigliosa. Un tale stava sulla porta e parlava con altri due tizi senza preoccuparsi di occupare il passaggio. A un certo punto arriva un signore, per un po’ aspetta, poi si spazientisce e si infila nello spazio libero ma non sufficiente per passare. Così facendo urta il tale che, risentito, lo minaccia: «Ué, io sto andando a Poggioreale! (il carcere di Napoli)». L’altro, già mezzo dentro il locale, risponde: «Be’, io da là sto venendo». Quel posto era uno spaccato preciso di Napoli: c’erano tutti, avvocati, giudici, mariuoli, sportivi, giornalisti, turisti e famiglie. Tutti! E si mangiava proprio bene. Nando, detto ‘o maresciallo, e il suo socio erano davvero disponibili e generosi. Un giorno arriva Carbone, quello del primo calcioscommesse, e dice al cameriere Salvatore: «Totò, ‘sta partita è sicura, giocati pure a figlieto». «Anto’, siamo sicuri? Seguendo i tuoi consigli mi è rimasto solo chill’ piccirill, gli altri tre li agge persi». Cose del genere succedevano spesso ed era divertente. Una sera Bruno Giordano, Sandro Renica e io stavamo cenando quando arriva un signore che vende un quadro per diecimila lire. Lo prendiamo, così anche lui si mangia un piatto di spaghetti, finiamo la cena e usciamo. Renica accetta di portarsi a casa il dipinto. «È un paesaggista, il pittore, vedi Castel dell’Ovo e sullo sfondo il Vesuvio?» dice Bruno. «Macché, è un impressionista» ribatto io che mi ero accorto che i colori erano ancora freschi e si erano ben impressi sulla giacca di Sandro, che mollò diverse bestemmie e il quadro sul tavolo. Frequentava il locale anche un poliziotto che ogni tanto amava sorseggiare un caffè in mia compagnia. Magari in un bar dove era conosciuto. Passava a prendermi con la 600 familiare e mi riaccompagnava. Una volta la radio avvertiva: «Attenzione, attenzione, sparatoria in via tal dei tali». Gran frenata. «Mannaggia, ci stiamo passando» inversione di marcia e via verso un caffè senza rischi. Si andava anche al ristorante «Da Peppino».
A cento metri dall’Hotel Royal e dal Castel dell’Ovo (…) Anche «Da Peppino» la fauna dei frequentatori era varia. C’era un simpatico signore che mi disse che contrabbandava sigarette. Non si guadagnava assai ma aveva sempre fatto quel lavoro… «E non ti beccano mai?». «Difficile, compro il motoscafo dove lo compra la finanza, ma al mio mettono un motore assai cchiù potente».
Due bellissime gag mi accompagnano dai tempi con la maglia azzurra del Napoli. La prima riguarda Claudio Garella, portiere efficace ma non bello da vedere; parava tutto ciò che c’era da parare, a volte qualcosina di più, ma lo faceva usando spesso i piedi, l’addome, il sedere, le gambe, tutte le parti del corpo utili. Aveva già vinto uno storico Scudetto con la maglia del Verona parando tutto alla stessa maniera. Ormai era la sua tecnica. Esteticamente il contrario della didattica ma, ripeto, assai efficace. Un giorno, prima di scendere in campo contro la Fiorentina, Giovanni Galli si avvicina a Luciano Castellini, allenatore dei portieri del Napoli, e gli chiede: «Ma glielo hai detto a Claudio che, se la prende con le mani, non è rigore?». La seconda ha come protagonista Moreno Ferrario, stopper che ha militato molte stagioni con la maglia del Napoli (…) Passava intere settimane senza aprire bocca. Poi magari interrompeva il silenzio per un «Buongiorno» e tornava nel suo mutismo. Una volta c’era la sosta del campionato e avevamo avuto due giorni di riposo. Incontrando la moglie in salumeria, sempre Castellini le chiese: «Come sta Moreno?». «Boh, sono due giorni che non lo sento» fu la risposta. «Ma è andato a Milano? (Moreno era originario di là)» domandò ancora Castellini. «No no, è in casa». Tratto da Il Mattino