Si può essere «special one» a modo proprio, mica solo perché lo suggerirebbe semplicemente la bacheca, per resistere a quell’insidia, perché qui,, in questo Mondo, non si parla d’altro: la domanda da cento milioni di dollari è lì, nell’aria limpida d’una vigilia qualsiasi, sarebbe la cronaca che lascia da parte le opinioni, quando suadente e rispettosa s’alza una voce, insegue un parere, per scuotere questa quiete che sta lì, sull’eco della tempesta. «Ma lei, Ancelotti, cosa ne pensa del gesto di Mourinho a Torino? Sono davvero così insopportabili gli insulti che arrivano dalle tribune?». L’Allianz Stadium è quel luogo in cui il 29 settembre gli avevano sussurrato di tutto, e chissà perché persino che «un maiale non può allenare», dunque quel signore gigioneggiante, pronto a entrare nel mischione mediatico con padronanza di argomenti, ne aveva facoltà di rispondere: però si è Ancelotti mica per caso, uno ci nasce o ci diventa, e in quella posa anche un po’ scenica, certo ricca di leggerezza, ci ha infilato tutto se stesso, il senso pieno per la vita, la capacità d’essere serioso su un argomento terribilmente serio, e di condirlo con la «plasticità» dell’attore protagonista, del quale ne ha rubato la postura. Fonte: CdS