Uno stralcio della lunga intervista rilasciata da Pietro-Gedeone Carmignani a Il Mattino
Lei i guanti non li ha mai visti, in realtà.
«Macché. Non li portava nessuno a quei tempi: c’è una immagine bellissima di me che paro un rigore a Capello che era alla Juventus a mani nude. Al massimo c’erano i guanti di lana quando faceva davvero freddo ma non tenevano nulla e ti facevano fare dei disastri. La più grande rivoluzione sono stati i guanti dei portieri: non ti scappa nulla. Quasi mai, direi».
Non allena più. Perché?
«Non è vero, alleno i portieri nati dal 2008 al 2012 del Varese. Qui ho casa, l’ho comprata tanti anni fa e qui ho conosciuto mia moglie Nunzia. È più divertente allenare i bambini, vedi il tuo lavoro concretizzarsi giorno dopo giorno, tu parli e loro ti ascoltano, ti danno retta. E come avere del pongo e maneggiarlo. Io ci metto tanta cura e passione. Io ho avuto maestri importanti: a Varese per 4 anni Liedholm ogni giorni mi dava lezioni di vita. Un po’ mi piace l’idea di poter insegnare qualcosa».
A Napoli il momento più bello della sua carriera?
«Io lì ci sono venuto non perché hanno ceduto Zoff. Io già dovevo venire l’anno prima e la Juve, dove avevo vinto lo scudetto, con i soldi che prese da me poi comprò Dino. A Napoli mi trovai meravigliosamente, anche perché mia moglie era di Nola e lì ero già stato a trovare i miei suoceri e a vedere la festa dei Gigli».
Ma lei ricorda i nomi dei suoi vice che non giocavano mai?
«Tutti. Nardin, Favaro, Da Pozzo. E non erano mica delle mie ombre. Dopo una gara con la Lazio venni squalificato e ricordo che Favaro a Terni fu il migliore in campo. E io gli feci i complimenti. Sinceri».