Dalle pagine del CdS chi se non Mimmo Carratelli può omaggiare Diego Armando Maradona
I^ Parte
“Dopo le magie sul campo, un legame rinsaldato dalla sofferenza, dalle cadute, dalle ingiurie patite, dalla lotta durissima contro il vizio bianco, combattendo da guerriero indomito La vicenda di un uomo perduto e rinato che ha catturato il cuore dei napoletani
Hola, artefice magico e messaggero di incantamenti, 58 anni oggi, buon compleanno impagabile giramondo e napoletano per sempre, ragazzo di Villa Fiorito e giocoliere di via Scipione Capece. Hola, meraviglia delle meraviglie, riccioli scugnizzi e magico sinistro che ci hai fatto cantare “voglio vivere così, col sole in fronte” e tu eri il sole splendido splendente ai tempi di Soccavo e di Napoli seconda mamma mia.
La tua vita è come il rock, oggi qua domani là con la tua libertà. Facciamo fatica a seguirti. Dubai e, improvvisamente, la Bielorussia ed ora il Messico, satellite umano che giri attorno alla terra, da ovest a est, da est a ovest. Pelusa, pibe, mano di Dio, re dei re (meglio ‘e Pelè) del dribbling, re magio del gol, angelo dell’area di rigore e demonio dell’area della vita, splendore di un piede mancino e della miseria di un vizio che hai straordinariamente combattuto e vinto, la tua partita più dura, soffrendo e alla fine alzando le braccia al cielo, la tua vittoria più bella, la sofferenza, gli insulti, le pene, le squalifiche, gli arresti, pagando sempre tutto, in debito con nessuno.
Ode, elogio, epinicio e carme in questo giorno che, 58 anni fa, fu una domenica di ottobre alle 7,05 quando nascesti alla periferia di Buenos Aires, Villa Fiorito alla periferia del mondo, per la meraviglia del pianeta, poi castigato dall’invidia degli dei per avere volato troppo alto, sedotto cuori e portieri, dribblato terzini e regolamenti, aggirato leggi e mediani. Un principe ribelle.
Vecchio ragazzo che corri sul mio prato dei ricordi e dell’affetto infinito perché era impossibile non volerti bene, uomo di tutte le virtù e di tutti i peccati, creatura esagerata, grande nella vittoria e nella sconfitta, leale con tutti e sleale con te stesso, cuore puro e impuro, istintivo, generoso, peccatore, impunito e punito. Correvi sul campo con le ali di Mercurio, ragazzo che hai voluto volare sul mondo con le ali di Icaro, fragili, disciolte e bruciate dal fuoco di una seduzione artificiale e di un’illusione traditrice.
Villa Fiorito, alla periferia di Buenos Aires, era una bidonville di case di fango, mattoni e lamiera, coi binari sulla scarpata della ferrovia. Ricordi di quegli anni tra le vie Azamor e Mario Bravo, bimbo magrolino con le gambe robuste, e un caschetto di capelli neri, gli stadi del mondo lontani e le domeniche di pesca sul fiume seguendo papà Chitoro che aveva fatto il barcaiolo e sapeva prendere all’amo i dorados guizzanti e scintillanti al sole.
Nella casa di lamiera, legno e mattoni, nonna Salvadora fumava la pipa. Papà Chitoro faceva il trituraossa nello stabilimento chimico di Buenos Aires e mamma Tota partorì sette figli, quattro femmine di fila prima del primo maschio che fosti tu, Dieguito, con tanta peluria in testa da diventare per tutti el pelusa.
Un raggio di luce si accese a Villa Fiorito e, nel raggio, il bambino che eri fece numeri da circo col pallone del cugino Beto, e tutti vennero a vederti. Più di tutti, don Francisco Cornejo arrivò e vide. Era un impiegato del Banco Hipotecario Nacional di Buenos Aires e talent-scout di gambe e piedi promettenti di bambini, che fiutava e scovava nelle periferie, e disse: «Il nano è un fenomeno». Eri il più piccolo di tutti”.