Il calcio è materia di studio, approfondimento, terra di business ma anche fiamma accesa dalla passione. Il calcio è tante cose e ognuno lo vive a modo suo. Oggi siamo andati alla scoperta del calcio secondo Paolo Seghezzi.
Scout, consulente, procuratore sportivo: abiti diversi per indossare la stessa passione, quella per il calcio. Com’è nata?
«Ho giocato a calcio per 32 anni, ma ero un calciatore abbastanza scarso. Però ho sempre avuto una grande passione, che è andata avanti con il naturale prolungamento nel ruolo di allenatore. Ci sono delle dinamiche, poi la vita ti porta a fare delle scelte inconsapevoli: un po’ per caso mi sono trovato a fare questo lavoro qui. E’ la passione, unita all’esperienza, che mi hanno portato a farlo. Passione da sempre, lavoro di consulente e procuratore nato abbastanza casualmente».
Sull’home page di Calcio Profiler campeggia la mission: un’analisi tecnica e di psicologia applicata al calciatore e/o squadra. Spesso si dà più peso al talento che alla componente psicologica: credi che sia questa la discriminante tra diventare o meno un calciatore?
«Questa è una bella domanda. Durante la mia esperienza ho visto tanti ragazzi con talento, noi siamo un popolo talentuoso con un sacco di genio e l’abbiamo trasmesso anche nell’ambito sportivo. La differenza la fanno i dettagli, l’aspetto psicologico non lo è: ho avuto un approccio un po’ diverso e, oltre a studiare questo tipo di aspetti, ho anche cercato di capire le variabili. Ti faccio un esempio: c’è un ragazzo molto talentuoso che, dopo aver fatto le giovanili di club importanti, a 17 anni si è perso. Abbiamo cercato, con il nostro approccio, di cercare di capire cosa è successo nella sua testa: adesso gioca in Serie C. Spesso si sottovaluta il ragazzo che c’è dietro al calciatore: le pressioni sono difficili a 40 anni, figuriamoci per gli adolescenti nella cui fase la carriera ha una svolta decisiva».
Mi ha colpito, spulciando sul sito CalcioProfiler.it, la storia di un ragazzino di nome Matteo, il cui successo è oltre la frustrazione: esempio di appartenenza alla squadra, che, purtroppo, è sempre meno frequente?
«La storia di Matteo è particolare. Penso che le statistiche parlino chiaro: arriva 1 calciatore su 5mila, quindi ci sono altri 4999 bambini da preservare e da augurarsi che diventino uomini, il che è la cosa più importante. I ragazzi di oggi sono particolarmente svegli ma estremamente fragili, soprattutto nelle relazioni. Questo è un esempio di un ragazzino vessato, emarginato, che è andato a prendersi una sua vittoria sociale, con la determinazione e con la cura del ragazzo. Con la possibilità di cadere senza per forza essere giudicato come fragile. Non sarà mai un campione però credo che abbia degli strumenti per diventarlo in altre cose, il che è anche più importante».
«Diciamo che arriva in un momento sfortunato perchè sabato abbiamo perso in casa, mettendo un po’ in discussione la nostra promozione nel massimo campionato. Interessante anche questa domanda, tra l’altro. Allora, diciamo che il calcio è diventato estremamente fisico e quindi il calcio dell’Est è diventato attrattiva dei nostri settori giovanili ed è un calcio in grande evoluzione. Negli ultimi anni ho studiato questo calcio: sono andato in Bulgaria, Ucraina, Lituania. Con questa società lavoro da un po’ di tempo, insieme ad un direttore sportivo italiano. Non c’è tantissima cultura della crescita del calciatore, qui in Lituania il primo sport è il basket, ma c’è tanta potenzialità. Infatti 3 ragazzini lituani sono stati presi da 3 società professionistiche italiane negli ultimi 6 mesi. Il livello è assolutamente buono, diciamo che è un occhio sul futuro nemmeno poi tanto prossimo. Saranno Paesi che, per questioni genetiche, se il calcio andrà sempre in questa direzione, diranno la loro».
In rosa ci sono due italiani, Stelitano e Spaltro. C’è un’inversione di tendenza rispetto al passato, quando magari i nostri ragazzi facevano fatica ad andare all’estero?
«Esatto. Noi siamo notoriamente molto legati alla nostra terra, a livello calcistico siamo sempre stati bene in Italia. Il nostro prodotto è un po’ peggiorato, ci sono parecchie problematiche nella crescita dei giocatori e, soprattutto, lo scalino tra il nostro settore giovanile e le prime squadre sembra quasi insormontabile. Un ragazzo di 22-23 anni in Italia è ritenuto giovane, all’estero invece è già da prima squadra. Spaltro, per esempio, è un giocatore molto interessante, è un ’99. Questi due ragazzi si sono messi in gioco, facendo benissimo e hanno richieste da squadre di livello superiore al Nevezis, che comunque si sta ritagliando un buon bacino di utenza nel calcio lituano. Sì, rispetto al passato i nostri calciatori dicono “perchè no” mentre prima era un’utopia».
Chiudiamo con l’identikit del tuo calciatore ideale del futuro: quali caratteristiche deve avere?
«Secondo me, il calciatore ideale parte necessariamente dalla personalità. Io la metto al primo posto perchè la generazione di oggi è particolarmente sveglia e fragile allo stesso tempo. In qualsiasi giocatore, anche nei più bravi, troveremmo un difetto: la personalità, in questo momento, fa la differenza. Poi a me piacciono particolarmente i giocatori più tecnici, magari mancini, ma mi rendo conto anche di essere un romantico».