Alle 8 di sera le strade di Winchester sono deserte. Le luci di un ristorante e le insegne di un pub regalano contorni meno lugubri. Manolo Gabbiadini, che gioca nel Southampton ma vive in questa piccola città a 20 km, passeggia con la moglie Martina e il figlio Tommaso. Manolo e Martina sono stati benissimo a Napoli e hanno scelto Bologna, piena di vita, come residenza italiana. Viene spontaneo chiedersi cosa ci facciano qui. «Il tempo passa lentamente – sorride lui –, non c’è molto da fare. Per fortuna Martina ha qualche amica. L’estate scorsa avevo offerte dall’Italia, ma non mi sono voluto arrendere. È una sfida con me stesso. Le cose nel calcio cambiano in un attimo». La storia di Manolo è paradossale. Il 26 febbraio 2017 segna una doppietta a Wembley nella finale di Coppa di Lega persa 3-2 contro il Manchester United di Mourinho (che gli fa i complimenti) e Ibrahimovic. Il 13 novembre 2017 Manolo è titolare nell’Italia che pareggiando 0-0 con la Svezia viene eliminata dal Mondiale. Da quel bruttissimo giorno, nonostante sia un idolo dei tifosi, Gabbiadini gioca pochissimo nel Southampton: appena 748’ minuti in undici mesi (472’ in Premier), 6 presenze da titolare (3 in Premier), nessuna partita intera. Un incubo, spezzato dal gol-salvezza allo Swansea nello scontro diretto della penultima giornata.
L’ITALIA
Manolo prende in braccio Tommaso e racconta: «È stato un anno tosto, il più sofferto per il risultato di San Siro e l’impiego ridotto al Southampton. Ho vissuto momenti difficili». Il pareggio con la Svezia galleggia nell’aria: «Fui sorpreso quando Ventura mi disse che sarei stato titolare. Nello spogliatoio vedevo la tensione sui volti dei compagni. Io ero motivato, San Siro pieno fu un’emozione incredibile. Ho letto e sentito tante cose. Dico solo che avremmo potuto vincere con la difesa a tre o a quattro, con Insigne o senza. C’era un’atmosfera negativa già dopo l’andata, quando perdemmo e prendemmo anche tante botte. Mi dà fastidio che si voglia addossare la colpa a qualcuno: abbiamo perso tutti. A fine gara nello spogliatoio c’era chi piangeva, chi non si muoveva, chi ha fatto la doccia ed è scappato via. Ognuno reagisce a modo proprio, ci dà fastidio la consapevolezza che quella partita resterà nella storia e l’unica cosa che possiamo fare è cercare di riportare la Nazionale in alto. Ricordo la festa con gli amici nel 2006. La prossima volta mi piacerebbe festeggiare in campo. E se non sarò nel gruppo, farò il tifo davanti alla tv perché la maglia azzurra è il massimo. Non conosco Mancini, il progetto è bello, però tutto dipende da come giocherò nel Southampton. Se giocherò…».
L’INGHILTERRA
Ecco. Difficile capire come Gabbiadini possa fare la riserva in un club che in Premier si è salvato alla penultima giornata lo scorso anno e anche adesso è al 16° posto. «Non so perché non gioco. La mia situazione è cambiata quando Puel fu esonerato e al suo posto arrivò Pellegrino. Tornai dalla partita con la Svezia e mi mise in panchina perché – parole sue – mi vedeva triste. Una scusa, ovviamente. Ma poi con Hughes la situazione non è cambiata. Non sono mai andato a chiedere spiegazioni, tanto avrei avuto risposte scontate. Continuo ad allenarmi e quando serve io ci sono. Come a Swansea: entrai nel finale e segnai il gol della salvezza. I tifosi mi vogliono bene, allo stadio cantano sempre un bellissimo coro dedicato a me». Però se avesse saputo che la stagione sarebbe iniziata così… «Avrei valutato meglio le offerte che il mio procuratore Silvio Pagliari mi aveva sottoposto. Ma io davvero ci tenevo a restare in Premier. Non volevo arrendermi».
OGGI SARRI
Se le cose fossero andate diversamente a Napoli, però, Manolo non sarebbe qui. E oggi a Southampton arriva proprio il Chelsea di Sarri: «Gli stringerò la mano, certo. Non ho nulla contro di lui. Non mi piaceva solo la scarsa considerazione che aveva delle riserve, ma sul campo è davvero eccezionale. Non ho rancori verso nessuno, scelsi io di lasciare Napoli vista la situazione. Con il presidente ho sempre avuto un ottimo rapporto. Non fui nemmeno fortunato perché dopo l’infortunio di Milik giocai contro la Roma, perdemmo e quasi inevitabilmente le colpe ricaddero su di me. Mertens segnò nelle partite seguenti e così per me non ci fu spazio. Ma prima di partire feci alcuni gol. Fu brutto lasciare Napoli così, sarei rimasto volentieri. Ma certe valutazioni le fai sul momento. A posteriori, magari, ragioni in modo diverso. Si è parlato anche tanto del mio ruolo: posso stare in avanti nel 4-4-2 e nel 3-5-2, esterno nel 4-3-3, dietro alla punta nel 4-4-1-1». Oggi contro Sarri potrebbe addirittura essere titolare, per la prima volta in Premier dal 31 marzo. Chissà se Manolo ritroverà prima la continuità in campo o la patente: «Potrò guidare solo a dicembre. È stata una bella lezione anche quella. Il telefono non era collegato al bluetooth della macchina. Ero fermo a un semaforo, ma accanto a me c’era una pattuglia. Sei mesi senza patente anche se la mano che impugnava il telefono era sul volante. Ma in fondo è una piccola cosa: nella vita si supera tutto e io non sono uno che si arrende».
Fonte: Gasport