Maggio 1991 e luglio 2018. Empoli-Milan di domani ha già un risultato, e in fondo è sul campo anche quello: 328-2. Sono i mesi consecutivi da numero uno dell’Empoli di Fabrizio Corsi e quelli di Paolo Scaroni alla guida del Milan: il presidente più «vecchio» e più «giovane» della Serie A.
Corsi, l’avrebbe mai detto 27 anni fa?
«Eh no, anche perché mi promisero che sarebbe stato un impegno di qualche mese. E l’inizio fu poco incoraggiante: subito dopo l’elezione ascoltai in diretta radio l’assemblea dei tifosi, una delle frasi più carine era “Questo è un golpe”».
Beh, da raccattapalle a presidente…
«Oggi il raccattapalle lo fa Guido, mio figlio di 14 anni e gli dico di godersela: certe cose se le ricorderà per sempre. Magari non la panchina della Lazio che gli chiedeva di fare melina: speriamo che quelli del Milan non facciano lo stesso».
Raccontò che nel 1997, primo campionato di A, eravate condizionati dalla paura: ancora, oggi che ci siete appena tornati?
«No, perché la paura penalizza: bisogna essere positivi, soprattutto nelle sconfitte. E siccome siamo già a tre, preferisco pensare così: contro il Milan, facendo le cose per bene, ci può scappare una soddisfazione».
Suo motto di riferimento: il più bravo è chi sbaglia meno. L’errore più grande di questi anni?
«Farmi fregare dai sentimenti. Di molte persone ho pensato che avessero i miei stessi valori umani e affettivi: sbagliavo».
E l’intuizione migliore?
«Ne scelgo una simbolica: dire tanto tempo fa a Raggi “Tu farai strada perché hai l’ignoranza che serve nel calcio”. Era il 2004 o il 2005».
Sempre sue parole: «Venticinque anni fa il livello dei dirigenti era più alto». Conferma?
«Parlavo di pura competenza calcistica. Oggi contano più la politica, i numeri: per questo, se guidi l’Empoli, a volte hai l’impressione di rubare la merenda al compagno di scuola ricco. Per questo qualcuno dice che andrebbe fatto un campionato europeo fra club. Io invece penso che la ricchezza del calcio italiano dipenda anche da ciò che esprimono i club più piccoli, i loro settori giovanili».
E le proprietà straniere?
«Sono una conseguenza dell’impoverimento della nostra economia. Io ho nostalgia di Berlusconi e Galliani, ma mi piace che arrivino capitali stranieri a investire nel nostro calcio. Però mi piace anche che ci sia un presidente italiano come Scaroni, che il Milan chiami Maldini in società: le conoscenze dirette di un ambiente contano, anche nel calcio».
Spalletti, Sarri, Giampaolo, Andreazzoli: sceglierà mai un allenatore «sparagnino»?
«La “storia” dice che non ci appartiene: se cerchi il gioco valorizzi i giocatori, ed è un nostro obiettivo anche questo».
Meglio giocare bene e salvarsi all’ultima giornata o a cinque dalla fine giocando così così?
«Giocare bene va sempre bene, fare un punto in quattro partite ricevendo solo complimenti un po’ meno. Battere il Milan stando nella nostra metà campo per 90’ non mi piacerebbe, farlo con tre occasioni da gol invece che le 7-8 avute contro il Sassuolo sì».
E’ vero che parlò con Andreazzoli già vent’anni fa?
«Sì, una chiacchierata quando dovevo sostituire Spalletti, nel ‘98: scelsi Delneri perché volevo continuità con la difesa a tre, peccato che in ritiro trovai un 4-4-2 puro, mi sembrava di vedere il Milan di Sacchi».
Una cosa che Andreazzoli ha di Spalletti e una di Sarri.
«Di Luciano la tenuta della linea difensiva. Di Sarri… No, Maurizio è troppo integralista: speciale anche nei difetti».
Più facile che Spalletti vinca lo scudetto o Sarri la Premier?
«Vista la Juve, direi Sarri: il Chelsea ha tutto per riuscirci».
Cosa le piace di Gattuso?
«Tutto, soprattutto come vive il suo ruolo: con la stessa passione che aveva da giocatore».
Higuain fa più o meno di 20 gol?
«Di più. Leggevo di difficoltà a fargli arrivare la palla: visto il gol all’Atalanta, non direi».
Le piace di più un Empoli con una o due punte?
«Con due per motivi di opportunità: credo di avere 3-4 attaccanti forti. Però con una punta e due mezze punte potevamo vincere contro la Lazio. Una cosa è certa: uno o due attaccanti, contro grandi squadre come il Milan hai speranze solo se punti a fare gol».
Fabrizio Corsi, cinque anni fa: «Il calcio italiano vive un vuoto assoluto da 15 anni». Siamo arrivati a venti?
«E arriveremo a trenta se non risolveremo tre problemi: stadi, pochi italiani, settori giovanili. Io non ce l’ho con gli stranieri, soprattutto giovani: ce l’ho con le ondate anomale di stranieri, ormai i procuratori vedono il nostro campionato come la miglior opportunità europea. Così abbiamo impoverito la Serie B e fatto fallire la Serie C: i milioni che una volta finanziavano questi campionati e i vivai, che facevano decollare i Vialli e i Vieri, oggi volano all’estero. Ma cosa ci vorrebbe a imporre ad ogni club di avere in squadra almeno cinque italiani? Ma serve un genio per capirlo?».
Però in questo suo Empoli ci sono meno prodotti del settore giovanile rispetto al passato.
«Vero, solo Traoré: è che grazie ai diritti tv ci siamo potuti permettere qualche investimento in più, e non è male. L’importante, per la vita di un settore giovanile, è mantenerne alta la qualità e io credo che fra i nostri 2000-2001 qualcuno arriverà: lo dicono le convocazioni delle nazionali giovanili.
L’ultima, per tornare all’inizio: sua figlia Rebecca, da poco vice presidente, è destinata a prendere il suo posto un giorno?
«Non glielo auguro. Spero possa continuare a godere del divertimento che comporta il lavorare nel calcio e non debba mai sentire, come è successo a me, il peso del vivere certi momenti difficili, quasi drammatici: troppo grande, come responsabilità, per augurarla a una figlia».
Fonte: gasport