Anni di sofferenze, anni di voglia di giustizia ma nessuna vendetta, Antonella Lardi ai microfoni de Il Mattino:
«Volevo la verità e l’ho avuta: non mi interessa quanti anni De Santis dovrà scontare in carcere, ma solo che siano state definite le sue responsabilità e che la dinamica della morte di mio figlio resti scolpita in modo indelebile in una sentenza passata in giudicato».
Parla a voce bassa, ma avverte una certa emozione, Antonella Leardi, mamma di Ciro Esposito, dopo aver appreso la notizia della condanna definitiva del teppista giallorosso Daniele De Santis.
Ha fatto ritorno a Napoli, nel quartiere Scampia, dove prova a recuperare un po’ di intimità domestica assieme al marito e agli altri due fratelli di Ciro, sempre e comunque nel riflesso di una stanza vuota.
Cala il sipario sul processo per la morte di suo figlio, cosa prova in questo momento?
«Posso ringraziare Dio che dopo quattro anni il processo sia finito. Giustizia è stata fatta, ora bisogna guardare avanti cercando di dare un senso al sacrificio di Ciro. Oggi avrebbe 34 anni, una vita spezzata da violenza cieca e ingiustificata».
A cosa fa riferimento quando ricorda l’opportunità di dare senso alla morte di suo figlio?
«Vede, vorrei che il volto di mio figlio non venisse dimenticato, ma che possa rappresentare un esempio e una testimonianza della brutalità di certe condotte».
Chi era Ciro Esposito?
«Un ragazzo di 29 anni che amava la vita, una persona onesta, legata alla famiglia e ai valori dello sport. Per lui il calcio era passione e appartenenza, nulla di riconducibile a quanto avvenuto nei pressi dello stadio romano».
Cosa sente di dire in questo momento ai rappresentanti delle altre tifoserie?
«Che andare in trasferta è bello. Me lo diceva sempre mio figlio: che può essere una bella occasione per incontrare ragazzi della tua età che sostengono colori diversi dai tuoi, che puoi visitare una città diversa, che puoi perfino scambiare una merenda o una frittata con gli avversari dentro e fuori lo stadio. Insomma, come diceva lui, le trasferte e il calcio erano un modo per pariare, per divertirsi assieme e visitare altri posti».
Al di là della perdita di suo figlio, cosa ricorda di questi quattro anni?
«Alti e bassi. Ho avuto momenti di sconforto».
A cosa fa riferimento?
«Temevo che volessero insabbiare la verità, che volessero nascondere una realtà che era evidente a tutti. Alla fine, a sentire alcuni ragionamenti, sembrava che De Santis fosse autore di una sorta di bravata tra ragazzi».
Cosa desidera adesso?
«Desidero riposare. Pensi che da quando hanno fissato il giorno dell’udienza in Cassazione ho dormito solo poche ore a notte. Per me era diventato un incubo, quello di vedere la memoria di mio figlio infangata da una ricostruzione scorretta dei fatti. È per questo che ora resto convinta di una cosa: il volto di Ciro Esposito può diventare l’icona di un tifo appassionato ma pulito, lontano dalle vendette e dalle rappresaglie di teppisti. Lo dico ai tifosi del Napoli e a tutti coloro che credono nei valori dello sport».
Fonte: Il Mattino