Hamsik “si confessa” alla presentazione della sua autobiografia:
Lavezzi aveva insistito così tanto che mi seccava recitare sempre la parte del bravo ragazzo che persino dopo un grande trionfo tornava a casa senza darsi alla pazza gioia. Di discoteche ne ho sempre viste pochissime (…) Ma quella volta, nel maggio 2012, con Lavezzi e un altro gruppo di compagni del Napoli, fu diverso. Volevo sentirmi come gli altri, come non era mai successo prima: un ragazzo che aveva appena vinto un trofeo con il Napoli e aveva il diritto di lasciarsi andare. Ecco, sì. In effetti mi lasciai andare. La Coppa Italia mancava al Napoli da diciassette anni, e in quella partita straordinaria contro la Juventus avevo anche segnato il gol del definitivo 2-0, dopo il quale mi ero inginocchiato, commosso, davanti ai tifosi impazziti. Nello spogliatoio i miei capelli erano stati rasati a zero dal Pocho Lavezzi, che poi non volle sentire ragioni: «Stasera non torni a casa!». Festeggiammo insieme a tutta la città su un autobus scoperto e la serata proseguì in discoteca. Senza mogli né figli. Per la prima volta bevvi tanto champagne. Guardavo la folla attraverso il vetro e Napoli mi apparve diversa. Una città piena di vita, che ama divertirsi, certo. Una città dove il confine tra giusto e sbagliato è spesso molto labile. Dove è facile cadere nelle tentazioni e altrettanto semplice pagarne le conseguenze. Una città che quando c’è da festeggiare non bada a spese. E quella sera Napoli festeggiava con noi la Coppa, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di brindare con i protagonisti dell’impresa.
(…) Non mi piace essere al centro dell’attenzione. Un gol, la vittoria e poi l’esultanza: tanto mi basta per sentirmi euforico. Devo ammettere che non ho mai capito le foto a tutti i costi, i bambini che ti saltano addosso per un autografo. I miei tifosi sanno che se non è il momento dico di no. Anche ai bambini. Quante volte mi sono sentito dare del maleducato… Per fortuna ho un carattere forte e vado avanti per la mia strada. Il fatto è che Napoli, con il suo affetto, è meravigliosa, ma se non si pongono limiti tende a invadere la tua sfera privata. Un ragazzino, una volta, mi affrontò a viso aperto. Mi disse: «Hamsík! Ti devi fare una foto». Io alzai la mano, disturbato, come a dirgli: non ora. Ebbene, mi riempì di insulti. (…) Invece nel locale della festa persi completamente la bussola. Prima di tornare a casa dissi al Pocho: «Grazie, mi hai fatto conoscere una città diversa». Poi, ho ristabilito le distanze, come sempre. Perché il mio compito non è festeggiare ogni partita vinta insieme alla città, ma impegnarmi al massimo, insieme ai compagni, affinché il Napoli regali alla città altri titoli da festeggiare sul serio”.