Pierluigi Collina, che ha deciso di lasciare l’Uefa restando al comando degli arbitri della Fifa, ha parlato a La Gazzetta dello Sport.
Non si può negare che il Mondiale degli arbitri, Var compresa, sia andato oltre le aspettative. Forse neanche lei, Busacca e Boban l’avreste immaginato.
«Bello sentirlo dire spesso dagli osservatori. Dopo l’Euro 2016 era stato detto che il vincitore morale era stata la squadra arbitrale, lo stesso è successo dopo Russia 2018. Risultato non casuale perché niente a questo livello lo è. Ma frutto di un lungo processo iniziato quattro anni fa, subito dopo il Brasile, con la prima selezione dei candidati e poi con una lunga serie di seminari di preparazione. Ogni dettaglio è stato curato con la massima attenzione».
Per esempio?
«Per esempio organizzando un torneo amichevole a inizio giugno a Mosca, per non far perdere il ritmo partita agli arbitri tra la fine dei campionati e l’inizio del Mondiale. Non si era mai fatto. Ai miei tempi ricordo d’aver chiesto di arbitrare in Serie B per restare allenato. E poi la conferma e il potenziamento della figura dei match-analyst, esperti che hanno studiato squadre e giocatori per offrire input tecnico-tattici agli arbitri».
Si può dire che il lavoro a Mosca è stato «di gruppo». Lei, Busacca più Rosetti alla Var… e poi Boban.
«Boban non aveva un coinvolgimento diretto ma da vicesegretario Fifa ha voluto starci accanto, decidendo fin dal primo giorno di vivere nel nostro albergo, cosa che mi ha fatto piacere perché quella arbitrale è la vera nazionale della Fifa. Ha vissuto con noi, senza interferire nelle scelte ma non facendoci mai mancare il sostegno e il supporto, ogni volta che abbiamo chiesto qualcosa per preparare al meglio gli arbitri».
Con Busacca e Rosetti invece siete colleghi.
«Con Massimo abbiamo condiviso il lavoro quotidiano, a partire dai 10 km di corsa al mattino per restare in forma e poi la gestione e le scelte, sempre con grande intesa. Insieme abbiamo lavorato molto bene. Rosetti l’ho voluto io come responsabile della Var al Mondiale e se l’Uefa non lo avesse nominato al mio posto sarebbe rimasto alla Fifa in un ruolo centrale nel progetto di sviluppo arbitrale. C’era già un accordo in tal senso».
Può essere il mancato uso della Var in Champions il motivo dell’addio?
«Si è detto di tutto, addirittura che ne avrei promosso lo sviluppo con la Fifa e il rallentamento con l’Uefa. Ovviamente non è così. La Fifa ci ha creduto da subito e ha iniziato molto prima la preparazione. Poi ci sono differenze oggettive: finora la Var è stata utilizzata in campionati disputati in un solo Paese. Farlo in Champions dove si gioca in molti Paesi e dove ci sono più broadcaster è più complicato. Ma sono sicuro che anche la Uefa prenderà la decisione di implementarla e quanto questo accadrà gli arbitri si faranno trovare pronti».
Qualcuno ha chiesto le sue dimissioni?
«Il contrario, all’Uefa mi hanno chiesto di rivalutare la mia decisione e cambiare idea».
Com’è il rapporto con i presidenti Infantino e Ceferin?
«Con Infantino abbiamo condiviso l’idea e il progetto di cambiamento dell’arbitraggio in Europa. Ricordo ancora le lunghissime telefonate a inizio 2010 in cui discutevamo su cosa fosse necessario fare per migliorare le “performance” degli arbitri. E quando è diventato presidente della Fifa mi ha voluto nella sua squadra. Poi, la sera della finale è venuto a festeggiare in albergo con gli arbitri. A Ceferin sono grato per la fiducia che mi dato confermandomi nel ruolo quando è arrivato alla Uefa».
Non vede il rischio che i top, abituati dal Mondiale all’aiuto tecnologico, possano avere problemi a tornare «umani»?
«La Var ti dà maggiore tranquillità, non ti fa cambiare modo di arbitrare. In campo l’arbitro decide sapendo che se commetterà un errore ci sarà un “paracadute” a salvarlo. Ed è importante, come chiesi fin dalla prima riunione Ifab in cui si discusse l’argomento (novembre 2014, ndr), che sia l’arbitro ad avere la decisione finale, Se c’è un fatto oggettivo, ad esempio un fuorigioco, nessun problema, ma altrimenti è l’arbitro che deve poter rivedere le immagini prima di decidere. Però c’è chi ha un po’ cambiato modo di lavorare…».
Chi?
«Gli assistenti. Ai quali è stato detto di ritardare l’uso della bandierina in alcune occasioni, perché è meglio far segnare il gol e poi valutare al video piuttosto che bloccare un’azione che invece poi si rivela corretta. E in Russia non si è praticamente parlato di fuorigioco…».
Insomma non c’è futuro nel calcio senza Var?
«Credo proprio di no, anche perché la gente non capirebbe. Viviamo in un’epoca in cui tutto quello che facciamo si basa sull’uso della tecnologia. Abbiamo provato anni fa a diminuire gli errori con l’occhio umano, con gli arbitri di porta, ma allora la tecnologia non permetteva la precisione di oggi. E continua a migliorare. Prima del Mondiale siamo passati da una valutazione in 2D del fuorigioco ad una in 3D, indispensabile per valutare con più precisione la posizione di un piede rispetto ad una testa».
Le sarebbe piaciuto avere la Var…
«Sbagliare e poi essere criticati per un errore non piace a nessuno. Certo per chi era abituato a decidere da solo non è facile ma bisogna essere aperti al cambiamento. Alla fine ciò che conta è il risultato finale».