Nasce a Torre Annunziata, Tower Announced, il 24 maggio 1949, la terra di suo padre Luigi e dello zio Agostino De Laurentiis, detto Dino, e delle deliziose zie democratiche che il cinema non l’hanno voluto fare e l’hanno solo visto al Politeama di corso Vittorio Emanuele 374 di Torre Annunziata. Nasce al tempo degli americani a Napoli e già sogna l’America, I have a dream, e mangia gallette di Castellammare ed è già dentro al cinema perché in famiglia il cinema è tutto, suo zio Dino, ragioniere, vuole fare l’attore e parte per Roma, suo padre Luigi lo raggiunge e l’aiuta a produrre il primo film, “Il bandito” di Alberto Lattuada. Era il 1946.
Aurelio De Laurentiis viene al mondo quando Alida Valli ha 28 anni e Amedeo Nazzari ne ha 42, e non ci sono più i telefoni bianchi. Biografi eleganti lo danno nato a Roma, anche wikipedia, ma Torre Annunziata è là che lo reclama tra i suoi cittadini illustri insieme allo scrittore Michele Prisco, al linguista Tullio De Mauro e alla pasta Voiello. I nonni erano irpini di Torella dei Lombardi, il nonno Rosario Pasquale Aurelio guardia di finanza e poi pastaio, la nonna Giuseppina Salvatore con negozio di farine.
Il 1949 è una buona annata, l’anno di nascita di Massimo D’Alema, del Divino Otelma, di John Belushi. Non ricorda se ha fatto i bagni al Lido Azzurro di Torre Annunziata perché parte subito per Roma con la famiglia, lo zio Dino gira un film dietro l’altro e il padre Luigi produce “Un borghese piccolo piccolo” quando Aurelio ha 28 anni ed è nata la Filmauro.
Nel 1999, quando si annuncia l’euro e Roberto Benigni è a Los Angeles per i tre Oscar de “La vita è bella”, Aurelio De Laurentiis è a Capri e gli prende un singolare interesse per il Napoli calcio venendo a sapere che Ferlaino vende la società al migliore offerente. De Laurentiis è il migliore offerente e propone 120 miliardi di lire per prendergli il Napoli e fargli un favore perché l’Ingegnere è con l’acqua alla gola e ha i creditori alla porta, 120 miliardi di lire sono 84mila dollari, Aurelio ha solo dollari. E si fa una convention al Circolo della stampa di Napoli, dove Ferlaino, attaccato al Napoli come la cozza allo scoglio, resiste all’offerta e tutto finisce.
L’infortunio al menisco
Cinque anni dopo, il 2004, Aurelio è a Capri, operato a un menisco, un segno del destino, il menisco e il calcio sono parenti, come direbbe Neri Parenti. La passione per il calcio gli entra da un ginocchio. Ma il calcio rende? Voleva lavorare tra Los Angeles e Shanghai, ma ripensa al Napoli calcio di ritorno da Los Angeles, dove ha appena lasciato Angelina Jolie e Gwyneth Paltrow.
Ed ecco che nel 2004 Aurelio De Laurentiis è a Capri e non c’è più Ferlaino perché il Napoli calcio è finito in tribunale, fallito. La società che non aveva preso per 120 miliardi di lire, ora può prenderla a prezzo di fallimento. Riunisce al Quisisana di Capri avvocati, commercialisti, ragionieri, fallimentaristi e i migliori del business.
Non c’è un cane a Napoli che voglia il Napoli, non ce n’è uno solo e una cordata di buona volontà e altre cordate insidiose e blasfeme, oltre a Gaucci, non vanno a segno. Bastavano, prima del fallimento, sei milioni di euro per prendere il Napoli liquefatto.
Aurelio De Laurentiis, che si sta godendo l’estate a Capri facendo comunella con Christian De Sica, manda al giudice Paolo Celentano del Tribunale di Napoli due messaggeri, gli avvocati Giuseppe e Francesco Cipriani Marinelli, offrendo sull’unghia 25 milioni di euro per avere il Napoli in serie C e 47 milioni nella superiore ipotesi di schierarlo in serie B, ipotesi cancellata seduta stante dal potente califfo federale Franco Carraro. La Fallimentare del Tribunale di Napoli rimane stordita dall’offerta hollywoodiana, boccheggia e tergiversa. Ma Aurelio De Laurentiis è uomo d’azione e se gli vengono i cinque minuti, non ancora noti in Italia, ma sono i cinque minuti in cui la barba freme, i neuroni gli girano vorticosamente, le meningi si eccitano, il sistema endocrino gli spara gli ormoni a palla, gli occhiali scuri del suo portamento da sceicco vanno a fuoco e, cazzo, adesso gliela faccio vedere chi è Aurelio De Laurentiis.
E il 6 settembre, un lunedì, arriva di buon mattino a Castelcapuano a bordo di un pulmino turistico con dieci legali a bordo e «vediamo come la mettono gli scornacchiati», e la mettono dura e lunga, perché DeLa entra la mattina ed esce dal tribunale alle 18,40. Un giorno intero gli ci è voluto per uscire da Castelcapuano incoronato Aurelio De Laurentiis proprietario e presidente del Napoli Soccer al costo di 32,1 milioni di euro che, in lire, alla vecchia maniera, fanno sessanta miliardi, molto più impressionanti.
Nessuno lo ringrazia di avere salvato il Napoli e tutti invece gli chiedono dove ha preso i 32,1 milioni di euro, se sono suoi, della Filmauro, dell’Unicredit, di Geronzi, della Cordusio, della Romafides, di Murdoch. Cazzi miei risponde, vi ho tolto le pezze dal culo, eravate falliti, non avete neanche più un giocatore, una sede, un campo d’allenamenti.
Aurelio De Laurentiis è una trottola, un giorno qua e un giorno là, ed eccolo a Gstaad sulle Alpi svizzere e Diego Della Valle gli suggerisce di prendere come direttore sportivo certo Pier Paolo Marino, conterraneo dei nonni di Torella dei Lombardi, che sta da sei anni all’Udinese. Aurelio un po’ si fida, un po’ non si fida, è molto più semplice ingaggiare registi e attori. Comunque telefona a Marino di raggiungerlo sulle Alpi, a Gstaad, e Marino va, un po’ tondetto, come Danny DeVito, ma più alto di venti centimetri, faccia da finto ingenuo, parlata fluente a mezzi toni, quasi un prete all’apparenza, ma un prete furbo. Passano una notte intera a parlare del nuovo Napoli, e sono d’accordo. E adesso che cosa si fa, chiede Marino. E Aurelio gli dice che appena sarà giorno prenderanno il Cessna bimotore sempre a disposizione e, di conseguenza, sbarcano a Napoli quand’è martedì 7 settembre.
Il campionato di serie C è già cominciato e bisogna affrettarsi. E Marino si affretta. Aurelio De Laurentiis fa il suo ingresso nel mondo del calcio. Arriva sulla sua sportivissima Maserati a Paestum dov’è il primo quartiere di fortuna del Napoli che deve rinascere e non ha neanche un pallone e un campo per allenarsi. E c’è chi porta un paio di palloni che devono bastare e Aurelio vede una folla di giocatori che sembrano le comparse di Ben Hur, ce ne sono che si chiamano Ignoffo e Berrettoni, bisognerebbe almeno cambiargli il nome, e c’è l’allenatore Giampiero Ventura, genovese, una grossa e lunga faccia abbronzata su un corpo massiccio, una specie di Russell Crowe a sessant’anni. Aurelio, seduta stante, si ripromette di riportare il Napoli in serie A in quattro anni.
Fonte: CdS