Le sue inchieste hanno dato fastidio alla Juve. «Se i tifosi del Napoli sono indiani e quelli della Juve cowboy, io sono un indiano». Giuseppe Pecoraro, ex prefetto di Roma e capo della Procura della Federcalcio, è finito nel mirino del club bianconero (e dei suoi tifosi) non perché sia napoletano ma perché ha condotto un’approfondita indagine sui rapporti tra la società e gli ultrà vicini alla ndrangheta. Ne ha parlato in un convegno organizzato dal Rotary Sud Ovest al circolo La Staffa sulla responsabilità oggettiva. «Sulla quale è in corso un’approfondita riflessione in ambito federale perché essa rischia di essere uno strumento per ricattare le società: minacce per ottenere biglietti e avviare un’attività di bagarinaggio».
Preoccupante quanto emerso nell’inchiesta «Alto Piemonte» della Procura di Torino sui rapporti tra gli ultrà e la Juve. «Si comincia da una contestazione all’allenatore Conte: dopo, i tifosi hanno chiesto biglietti alla Juve, che si è sentita minacciata. Si è quasi arrivati a un accordo temendo lancio di petardi o altro in campo. La Juve forniva 1500 biglietti a partite oltre a 50 abbonamenti e a tagliandi per gare di coppa, anche di altre squadre. Abbiamo compiuto accertamenti su cinque stagioni e sono emersi affari per un milione di euro a stagione, dunque cinque in totale. Ma secondo alcune testimonianze il discorso potrebbe andare ancor più indietro, fino a quattordici anni», ha spiegato Pecoraro. Affari sporchi in quei gruppi. «Dalle intercettazioni sono emersi interessi chiari nelle curve: bagarinaggio, droga, prostituzione. Devo sottolineare che la Commissione antimafia, con il presidente Bindi e il segretario Di Lello, ha compiuto un eccellente lavoro anche se qualcuno in Federazione si era chiesto perché la Commissione si interessasse a questi argomenti». Probabile riferimento ad alcune dichiarazioni del direttore generale Michele Uva.
Pecoraro ha sottolineato le difficoltà dell’ufficio che dirige da due anni. «Ho chiesto uomini e mezzi ma non li ho avuti. Ci avvaliamo del supporto delle Procure e abbiamo chiesto anche il contributo della Squadra mobile e della Polizia giudiziaria. Abbiamo molto lavoro da portare avanti sul fronte delle infiltrazioni della malavita organizzata ma anche su quello delle scommesse. Siamo a conoscenza di tesserati che scommettono: si tratta anche di giocatori di serie A e famosi che hanno a disposizione risorse importanti. Lavoriamo per un accordo con i Monopoli e la Procura generale dello Sport, diretta dal dottor Cataldi, per avere informazioni sui nominativi degli scommettitori per poter eventualmente risalire a tesserati. Operiamo anche su altri fronti, dalle inchieste sulla pedofilia ai bilanci delle società. Ci sono stati più deferimenti in queste settimane per club di serie C e ci chiediamo se non sia il caso di ridurre il numero di squadre, di averne ad esempio non novanta ma trenta a patto che siano sane». Sulla responsabilità oggettiva è intervenuto anche l’ex presidente del Napoli, Salvatore Naldi, che ha ricordato le sanzioni a carico del suo club (5 giornate a porte chiuse e in campo neutro) dopo il derby Avellino-Napoli del 2003 in cui morì il tifoso azzurro Sergio Ercolano: «Un danno enorme, dopo una drammatica serata in cui delinquenti entrarono negli spogliatoi per minacciare i nostri giocatori affinché non giocassero». Infine, una battuta di Pecoraro sui cori razzisti che perseguitano il Napoli: «Un problema culturale, li ho ascoltati anche io a Firenze. Per la certezza della pena bisognerebbe individuare chiaramente chi fa quei cori nei settori».
Fonte: Il Mattino