L’opinione di Ciccio Marolda sul CdS:
“La Fragilità della Bellezza. Sì, quello che saluta la stagione e se ne va è un Napoli che potrebbe specchiarsi in vetrine d’arte assai importanti, nelle quali Sarri potrebbe diventare un moderno ed eretico personaggio di Tiziano. San Girolamo penitente, perché no. Figura inquieta e misteriosa come quella: eremita della tattica (e non del deserto) e che si batte il petto (col pallone e non con una pietra). E’ vero, questo po’ po’ d’allenatore forse non conosce il pentimento, ma non per questo può sottrarsi alla madre di tutte le domande di fine campionato: poteva fare di più, poteva tentare di scrivere in modo diverso il finale della storia? Sì. Probabilmente sì. Ma questo s’è già detto e, si sa, quando la frittata è fatta non ha senso rigirarla. Eppure, se possibile, c’è qualcosa di più amaro di uno scudetto che il Napoli avrebbe meritato e che invece nel momento decisivo irritanti debolezze – tecniche e arbitrali – hanno messo su altre strade. Che cos’è quest’amarezza? “Ma(u)ri’, dint’o silenzio, silenzio cantatore”: così l’avrebbe spiegato cent’anni fa Libero Bovio. Così avrebbe scritto per dare un senso a questa porta sbarrata ai desideri della gente e alle offerte milionarie della società. Un silenzio che davanti alla richiesta di certezze invece genera incertezze e nel quale, come insegna la psicologia, si può raggiunge anche il massimo della cattiveria. Perfida psicologia. E ingiusta, perché non sarà questo il caso. Però, comunque sia, visto che nel calcio i contratti liberamente sottoscritti valgono quanto un gol annullato, è tempo che club, calciatori e tifosi vedano ricambiato il rispetto dichiarato per l’allenatore. Insomma, è tempo di risposte e di chiarezza, signor Sarri. Tentennare aspettando magari offerte in altre lingue non giova alla fedeltà tifo-allenatore e meno che meno a quella tra il club e il suo prezioso dipendente. Alla fine Sarri resterà? Bene. La continuità tecnica è sempre un buon valore. Non resterà? Pazienza. Anche perché il Napoli moderno è stato bravo a non far mai rimpiangere chi ha girato i tacchi e se n’è andato. Sarà così per Pepe Reina, il quale già tre anni fa preferì qualche dollaro in più ai salti e ai canti sotto la curva affezionata. Non sarà così per Christian Maggio che se ne va dopo dieci anni. E’ a lui che oggi si deve stringere la mano e augurare tantissima fortuna. Però che cattiveria non fargli giocare neppure tre minuti”.