I malavitosi amano il campione, lo usano come simbolo del loro potere, come uno specchio che ne riflette l’immagine. Da sempre. Lo usano come trofeo da esibire. Come in quelle notti in cui Maradona si divertiva tanto. E a festeggiare a champagne e altro, c’erano spesso i capizona della Napoli del Centro storico, i padroni della droga e delle estorsioni. Di relazioni pericolose tra gloria sportiva e malavita organizzata è piena la storia del calcio. Maradona, certo, e la famosa fotografia dentro la vasca da bagno d’oro a forma di conchiglia, lui insieme ai boss Carmine Giuliano «’O lione» e Luigi Giuliano «’O re». Ma anche Lavezzi non ha resistito a questo genere di rapporti, facendosi fotografare accanto al figlio del capoclan Lo Russo. Spiegò in tribunale: «Non ci vedo nulla di male, in Argentina è normale avere questo tipo di rapporti». Sprovveduti, desiderosi di essere serviti e riveriti, propensi solo a farsi circondare da persone pronte a esaudire i loro desideri. E in cambio gli altri si accontentano di farsi vedere con loro. Come simbolo del potere.
Il Napoli ha fatto tanto per evitare frequentazioni oblique da parte dei giocatori: per prima cosa il club ha rotto ogni genere di rapporto con la tifoseria organizzata fin dal 2005. Anche la scelta di spostare a Castel Volturno il quartier generale è legato alla voglia di allontanarsi dalle tentazioni della città. Anche lì, nel centro sportivo, non si entra facilmente. Gli ultrà, se vogliono parlare con i giocatori, prima devono avere l’ok della Digos. In commissione antimafia, in seguito all’inchiesta Alto Piemonte, De Laurentiis è stato chiaro: «Gli unici rapporti ravvicinati con i tifosi li abbiamo durante il ritiro estivo, sotto il controllo stretto della nostra vigilanza privata», disse al presidente Rosy Bindi. «E Lo Russo a bordocampo? (in un Napoli-Parma, del 2 aprile 2010, ndr)». De Laurentiis spiegò al pm Parascandolo che «il Napoli fa una cosa che nessun altro club fa: i nomi di coloro che vanno sul terreno di gioco vengono inviati in questura 72 ore prima. Le persone sul campo sono indicate dagli sponsor». Minacce, avvertimenti, come quando vennero lanciate bombe carte in una gara contro il Frosinone nel dicembre del 2006. L’allora sostituto procuratore Ardituro nel provvedimento che portò 12 anni fa all’arresto di 6 capitifosi parlò di una «vessante richiesta di biglietti omaggio alla società». Richiesta sempre negata. De Laurentiis fa firmare 4 contratti ai giocatori e tra questi c’è un modello comportamentale.
Sarri, dal momento in cui ha messo piede nello spogliatoio azzurro, ha imposto le sue regole rigide: «Detto ciò, a volte, è difficile perfino per me distinguere le persone che si avvicinano per un selfie, ti abbracciano e sorridono come se fossero grandi amici. Figurarsi per dei ragazzi, oltretutto stranieri». Sarri dà una grossa mano al club: cerca i suoi calciatori al telefono la sera, li porta in ritiro, inizia a regimentare le loro abitudini, intuendo che in giro le tentazioni sono tante. Troppe. E pericolose. Ogni volta che può, nel chiuso dello spogliatoio, prova a dare ai suoi ragazzi delle regole di vita. Attenzione ripete più o meno, questa è una città dove tutto sembra bello ma è tutto pieno di tentacoli e prima o poi ne chiede conto. De Laurentiis nell’aprile del 2015, era Benitez il tecnico, esplose deluso. «Questa è una città rapace, anche io a 25 anni facevo delle cose che adesso non farei più». Ce l’aveva con Higuain, ma anche forse anche con altri. Certamente, invece, ce l’aveva con Pepe Reina quando un anno fa, invitò il portiere ad «avere meno distrazioni durante la settimana». Parole pronunciate al cospetto della moglie Yolanda. Dietro il rifiuto a rinnovare il contratto con Reina proprio queste relazioni pericolose emerse già dell’inchiesta della Dia guidata dal superpoliziotto Giuseppe Linares. Gli atti di questo procedimento andranno alla Procura della Figc. E probabile che Reina verrà ascoltato dal procuratore Pecoraro nei prossimi giorni.
Fonte: Il Mattino