Marco Tardelli, ex calciatore juventino, ha parlato a La Gazzetta dello Sport, all’indomani del pareggio del Napoli. Orami è praticamente impossibile raggiungere la Juventus per gli azzurri, che sono con il settimo scudetto in tasca. Tardelli analizza questo momento.
«Qualcuno pensa davvero che il Napoli recuperi 6 punti e 16 gol di differenza reti? Siamo seri… Allora diciamolo pure: complimenti alla Juventus per questo settimo, meritato, scudetto consecutivo».
Ok, l’ha vinto… Ma, Tardelli, lei che conosce bene la casa reale e ne ha vinti 5 in bianconero, può dirci perché è successo ancora?
«La forza mentale e l’abitudine a certi traguardi: i bianconeri ne hanno di più del Napoli e questo ha pesato. Con il gol di Koulibaly sembrava tutto finito e anche contro l’Inter la Juve era spalle al muro e, invece, è riuscita a risorgere. Le due squadre hanno dimostrato di reagire in maniera diversa alla pressione dei rivali: una differenza sostanziale».
«No, a quel punto ero convinto che fosse l’anno del Napoli: il vantaggio psicologico era tutto dalla loro parte, c’era grande euforia e invece eccoci qua a celebrare la tenacia della Juve».
Non è che quella troppa euforia ha influito al contrario?
«Intanto non è vero che alla Juve non si festeggia: io l’ho sempre fatto, ma al momento giusto. Al Napoli va rimproverata soprattutto la partita con la Fiorentina: la botta di San Siro doveva essere assorbita e, invece, la squadra si è squagliata. E sono venute fuori tutte le tensioni tra allenatore e società».
Pure la Juve ha avuto problemi: come ha fatto a gestirli?
«Ne ha avuti tanti, alla luce del sole. Proprio nelle loro difficoltà, hai la sensazione di quanto sia importante la società, che con la giusta distanza sa fare scudo: a Torino è molto più forte dei calciatori. Il momento più duro è stato a Madrid, non con il Napoli: lì abbiamo avuto la certezza della fine di un ciclo arrivato a un passo dall’impresa. Per rialzarsi serviva uno sforzo collettivo e le motivazione che dà un ottimo tecnico».
Ecco, non pensa che il criticatissimo Allegri sia sottovalutato?
«A tutti piace giocare bene, ma a tutti piace ancora di più vincere: se il tuo bel gioco ti fa arrivare secondo, non ti diverti. Allegri è un grande gestore: pensate solo all’importanza delle panchine “terapeutiche”. A turno, da Dybala a Higuain, tutti sono stati messi fuori e dopo sono tornati a rendere. Vincesse la Champions, sarebbe l’allenatore più vincente della storia».
Secondo lei ci riproverà a Torino o è l’ora di separarsi?
«Ma se Fergusson e Wenger sono stati in panchina per oltre 20 anni, perché per Allegri diventano troppi 4? Io ho visto tutti i giorni il Trap per 9 anni e la cosa non mi è pesata… Certo, se Allegri avesse voglia di andare all’estero lo capirei, ma la Juve ci pensi bene a lasciarlo andare: siamo sicuri che ci sia davvero qualcosa di meglio in giro?».
Qualche bianconero l’ha delusa? E qualcuno l’ha stupita?
«A deludere è stato il gioco: rispetto al passato, un passo indietro. Nonostante i gol, a volte Dybala è stato sotto i suoi standard. Per il resto, si parla tanto di Douglas Costa e lì si vede la mano del tecnico: Allegri ha dato forma alla sua originaria anarchia, gli ha insegnato l’importanza della fase difensiva».
Cosa servirebbe per pensare a un ottavo scudetto?
«Rinnovarsi senza paura. Lo spogliatoio decida a chi passerà la leadership nel dopo-Buffon, ma servono energie nuove in difesa e in mezzo. Sulla mentalità, invece, la Juve sarà sempre maestra, anche se il prossimo anno occhio alla Roma».