In che modo incide questa spinta, con quali meccanismi psicologici e fisici? «È un po’ come quando un figlio sa che in sala c’è il papà a vedere la sua esibizione e vuole fare bella figura e dunque dà il meglio di sé. Si prepara meglio. Sa che c’è un contesto nel quale chi fa bene viene premiato e gratificato e così si impegna. In questo modo la squadra viene sostenuta dal suo pubblico».
E le canzoni, i cori ispirati. Che ruolo hanno? «Quando un giocatore prende la palla in campo e sente 10mila, 50mila, 80mila persone urlare è che come se avesse una siringa di adrenalina e riesce a inserire una marcia in più sul piano fisico e psicologico».
Conta anche la realtà sociale? «Certo, il tema del riscatto è sentito da una intera città e comunità. È molto sentito. Insigne lo ha più volte ribadito. È quello che Pelé rappresentò nel famoso film dove una squadra di detenuti si batteva per la libertà contro gli aguzzini. C’è un forte mandato simbolico».
Ma a Torino erano pochi i tifosi sugli spalti… «Sì ma i calciatori è come se avessero immagazzinato la spinta impressa dal suo pubblico la sera prima, quando c’è stato il corteo che li ha accompagnati all’aeroporto. Così anche al ritorno. Ma c’è anche un altro aspetto».
Quale? «L’effetto preghiera, i ritiri, la meditazione. Il cosiddetto effetto dolby che consiste nel concentrare tutto su un solo suono eliminando tutti gli altri rumori di fondo. L’addestramento alla concentrazione con tecniche particolari che possono anche essere apprese. Ad esempio per riuscire a non perdere la bussola negli ultimi minuti, anzi imparando a ottimizzare gli sforzi in questi frangenti per conquistare la vittoria».
E ora chi è favorito? «Dovrebbe essere il Napoli ma bisogna stare molto attenti. La Juve proverà a reagire sul piano psicologico. Bisognerà vedere quali cure troverà per le sue paure che ora sono diventate ingombranti e paralizzanti».
Il Mattino