Maicon è tornato in città e lo ha fatto da «Colosso» stravolgendo i cuori di battiti d’affetto. È entrato anche ufficialmente nella squadra di «Inter Forever» domenica prima della gara contro il Napoli, con la consegna della sua maglia numero «13», nella serata che ha celebrato i 110 anni del club.
Come benvenuto a Milano ha gradito la partita di domenica?
«Molto, anche se è stato uno 0-0. Eppure ho visto tanti spunti tattici e una bella Inter contro una squadra che la precede in classifica».
Anche lei è colpito dal gioco di Maurizio Sarri?
«Il Napoli gioca il miglior calcio d’Italia. Seguo la Serie A anche da lontano, ho visto diverse partite e ho potuto apprezzarlo anche di persona».
Quindi l’Inter che subisce zero gol in 180’ dal Napoli fornisce buoni segnali…
«La difesa nerazzurra e tutto il meccanismo stanno lavorando molto bene. Altrimenti non fermi due volte su due una squadra come il Napoli…».
Chi le è piaciuto tra gli interisti?
«Skriniar. Fortissimo in mezzo alla difesa, molto bravo».
Per lo scudetto sarà lotta a due Juventus-Napoli fino alla fine?
«Era una lotta a due fino a quando davanti c’era il Napoli… Adesso, conoscendo il campionato italiano, dico che la Juventus è la favorita. Hanno una mentalità positiva, è difficile superarli. Mi ricorda un po’ il campionato 2009-10, quando la Roma ci superò e poi noi tornammo davanti e vincemmo».
A proposito di Roma, lei è stato allenato anche da Spalletti nella Capitale: che ricordi ha?
«Più che positivi, anche se abbiamo lavorato insieme per poco tempo lo ricordo piacevolmente. È un bravissimo allenatore, un martello nel lavoro quotidiano. I giocatori dell’Inter stiano tranquilli: anche dopo un buon 0-0 contro il Napoli, lavoreranno. Come lavoreranno in questi giorni… (e scoppia a ridere, ndr)».
La stagione era iniziata bene, poi il meccanismo si è un po’ inceppato. Come si può venirne fuori?
«Restando uniti, facendo gruppo. Anche non necessariamente fuori dal campo. L’importante è che quando si lotta, lo si faccia in maniera compatta per l’obiettivo della squadra».
Ed è con questo spirito che l’Inter tornerà in Champions?
«Ecco, credo che si debba pensare a gara dopo gara, senza il pensiero dell’obiettivo finale. Un passo alla volta. La Serie A è difficilissima, anche se giochi contro gli ultimi, lo testimoniano certe partite di quest’anno».
Tra i tanti allenatori che ha avuto, due più di tutti hanno determinato la sua carriera: Roberto Mancini e José Mourinho.
«Mancini ha ricostruito l’Inter, tecnicamente e mentalmente, ha proprio rifatto tutto. Anche a livello societario».
E Mou?
«Ha dato il tocco finale, ha messo la ciliegina. È stato il migliore con cui io abbia mai lavorato».
Cosa le diceva?
«Mi ha parlato due volte, sono state sufficienti (il sorriso circonda il volto nel momento della risposta, ndr). Quando arrivò all’Inter consegnò ai giocatori una specie di decalogo sui comportamenti, cosa fare e cosa no. Qualcuno di noi non lesse. Diciamo che sbagliarono a non farlo…».
Che tipo di giocatore bisogna essere per essere allenato da lui?
«Serve una mentalità fortissima. Altrimenti non riesci a giocare con lui e per lui. Lui diceva cosa fare e in partita veniva tutto bene. Quindi riflettevi: “Allora ha ragione”. E aumentava la fiducia in lui di noi giocatori».
Lei è uno degli eroi del Triplete: com’era quell’Inter?
«Era un mondo perfetto, bastava guardarsi negli occhi. Con troppe parole non si va da nessuna parte, servono i fatti».
Con il Brasile lei ha vinto due volte la Confederations e due la Coppa America, mai il Mondiale: come mai?
«(Silenzio, ndr) Non ho avuto fortuna con questa competizione che è molto strana. Dopo la fase a gironi è come iniziare un torneo diverso».
In Sudafrica nel 2010 venne eliminato dall’Olanda ai quarti…
«Sì, con un gol di testa di Sneijder (ride, ndr): come si fa a prendere un gol di testa da Wesley che è alto 1.70?».
Mentre nel 2014 la semifinale con la Germania è storia…
«L’1-7 ci accompagnerà per sempre, ci prenderanno per sempre in giro. Al rientro negli spogliatoi mi sembrava di non aver nemmeno giocato. Vorrei rigiocarla, non finirebbe così».
Quest’anno chi lo vince?
«Il Brasile, anche se mi piace l’Argentina. Invece non mi spaventano troppo le europee».
Lei si è ritirato dopo l’Avaì: cosa farà da grande?
«Niente inerente al calcio, è cambiato troppo, non mi vedo più dentro questo mondo».
L’Inter ha 110 anni: come la spiegherebbe a un bimbo?
«Gli direi che è una famiglia speciale. Il presidente Moratti è unico, inarrivabile. Al bimbo gli direi di tifare sempre Inter».
Maicon, si sente ancora un bambino fortunato?
«Fortunato e competente. Ora un uomo realizzato, senza rimpianti».
Fonte gasport