C’è un’eliminazione dal Mondiale da mandare giù, c’è il calcio mercato che incombe, in quel giugno 1962, per poter dare la giusta attenzione a quella finale. All’ Olimpico per l’ ultima di Coppa Italia ci sono il Napoli e la Spal. Due finaliste poco blasonate che sui giornali meritano trafiletti e non prime pagine. Gli azzurri, tra mille sofferenze, avevano appena guadagnato la promozione in serie A, mentre gli emiliani si erano salvati dalla retrocessione ma erano pur sempre un’espressione di provincia.
La Spal aveva fatto fuori in semifinale la Juve di Charles, il presidente Paolo Mazza, che tutto faceva e tutto dirigeva, sognava la grande impresa. Ma bisognava fare i conti con l’entusiasmo di una città intera, Napoli appunto. In trentasei anni di vita, dalla nascita nel 1926, gli azzurri non avevano ancora vinto nulla, e pareva proprio una maledizione. Il Comandante Achille Lauro non aveva lesinato denari, ma i risultati tardavano a venire.
Il giorno della svolta, a Napoli, fu il 29 gennaio 1962 quando il Comandante licenziò l’allenatore Fioravante Baldi e assunse Bruno Pesaola, detto il Petisso, che risollevò la squadra, la condusse alla promozione e si fece strada in Coppa Italia. Eliminò Torino, Roma e Mantova. I ragazzi di Pesaola non tradirono le aspettative. Presero in mano la partita e misero la Spal alle corde. Fu festa sul prato dell’Olimpico. Dalla tribuna scese anche il Comandante Lauro che si lasciò abbracciare dai suoi giocatori, dall’allenatore, dai dirigenti. Era il primo trofeo da mettere in bacheca e, soprattutto, il Napoli era (ed è ancora), assieme al Vado Ligure, l’unica squadra ad aver vinto la Coppa Italia pur non essendo in Serie A. E per quest’impresa clamorosa il Corriere della Sera fu magnanimo: titolo su quattro colonne, ma «di spalla». Sempre meglio di niente.
Fonte: Gazzetta