Dries Mertens stupisce per la sua semplicità.
«Sono felice, come mai prima di adesso. Nel Napoli mi sento come un bambino in un negozio di giocattoli. Mi sembra di poter vedere esaudito ogni mio desiderio. E un bimbo da un simile negozio non vorrebbe mai uscire». Del belga hanno impressionato la ferocia e l’umiltà nelle pieghe della sofferenza che non sono mancate negli 85 giorni in cui non ha segnato. Prima del ritorno al gol con l’Atalanta e il Bologna. E per tornare a essere se stesso ci ha messo tutto il suo talento, la sua pazienza, la sua determinazione, la sua precisione.
Mertens, con il 4-3-3 ormai andate avanti come con il pilota automatico?
«Vero. È un paio di anni che stiamo assieme e le cose ci vengono bene. Spesso chiudiamo gli occhi e ci ritroviamo. E non passa giorno che le cose non vanno meglio del giorno prima. È una crescita continua. Ogni tanto pensiamo anche a cambiare, ma quello che conta è quello che c’è nella nostra testa: modulo a parte, infatti, vogliamo essere sempre noi a comandare il gioco».
Perché in Champions, però, non è andata bene come in campionato?
«Un po’ è stata colpa anche della sfortuna. Con lo Shakhtar alla prima giornata abbiamo sfiorato tante volte il 2-2. Lo avremmo meritato, in fondo le occasioni per pareggiare sono state tante. E se non avessimo perso in Ucraina alla prima giornata, il turno lo avremmo passato noi».
È stata solo una questione di testa?
«Non credo. I rimpianti sono tanti ma non è mai bello ripensare a qualcosa».
Per non correre altri rischi, lei è tornato a segnare tanto. È a quota 13. I gol sono tutti uguali?
«No, sono tutti diversi. E ci sono quelli più belli degli altri. E il più bello è sempre quello che ti fa vincere una partita, che ti consente di conquistare i tre punti».
Per questo su Instragram ha la foto del gol di Bergamo?
«Sì, ma quello avevo anche un altro significato: una specie di liberazione perché anche io non ce la facevo più a sentirmi dire che erano passate tutte quelle domeniche senza una mia rete. C’era una emozione speciale, ci ho messo tutta la rabbia che avevo dentro quando ho scoccato il tiro».
Però ci sono tre perle: i gol alla Lazio, al Genoa e al Bologna.
«Devo dire che quello all’Olimpico resta ancora il mio preferito. Certo, anche domenica nel rivedermi devo ammettere che ho fatto una bella cosa, ma con la Lazio mi sono superato. È stato un lampo, non credo che nessuno immaginasse quello che stavo per fare. In fondo, neppure io…».
Che si pensa prima di un gesto del genere?
«Viene tutto da solo, una cosa automatica. Corri, provi a liberarti di un avversario e si accende una lampadina. Tutto naturale, in fondo anche quando ero piccolo e giocavo per strada mi capitava di prendere e calciare all’improvviso».
La cosa più importante per un attaccante è fare gol?
«Sì, e non c’è nulla di male a dirlo. Io quando giocavo a sinistra avevo altro in mente: difendevo, puntavo l’uomo, non avevo come idea segnare a tutti i costi. Adesso no. Anche perché ti guardano tutti in malo modo e se non hai segnato senti che dicono: ecco, ha giocato male. A me dispiace, perché nessuno vede quello che si fa veramente».
Quando giocava sulla fascia era invidioso di chi segnava?
«No, perché ognuno in una squadra deve recitare al massimo il ruolo che ha».
Il difensore che l’ha fatta penare di più?
«Chiellini è il più forte di tutti in serie A. Ti mette pressione solo con lo sguardo, avverti la sensazione che è capace persino di anticipare i tuoi pensieri oltre che le tue mosse».
E come si fa a batterlo?
«Mi aiuta Koulibaly. È migliorato tantissimo in questi anni al Napoli ed ora è tra i migliori in Europa. E allora lo sfido in allenamento: il fatto che mi conosce mi spinge ogni volta a fare qualcosa di diverso per superarlo e sorprenderlo».
Conta più il talento o il lavoro?
«Ma non possono essere separati, vanno di pari passo. Se hai talento e non lavori non fai molta strada. Puoi non muovere un dito se sei Maradona, Pelé, Messi: ma il lavoro è fondamentale, in tutto».
Un rigorista gelido e spietato. Che le passa per la testa prima di calciare un rigore?
«Io ho sempre tirato i rigori, sono un tipo freddo. E ho anche un mio piccolo segreto prima di calciare. E poiché è un segreto non lo dico a nessuno».
85 giorni senza segnare. Cosa ha pensato in quei giorni?
«Sicuramente la gente ha dato peso a questa cosa. Io non sono un attaccante che da solo deve fare gol. Anche gli assist mi aiutato a non essere deluso. E ne ho fatti ben sei».
Chi le ha detto la cosa più importante in quel periodo?
«La cosa che mi aiutato di più è stato il fatto che c’erano altri che facevano gol al posto mio e per questo abbiamo continuato a vincere. E allora ho potuto sopportare meglio questa fase».
Le piacerebbe fare un gol più di Higuain?
«Certo. Ma mica solo di lui, anche di Dzeko, Icardi, Immobile. Io voglio essere primo nella classifica dei marcatori».
I gol sono il cibo degli attaccanti?
«Sì. È cambiato tutto. Perché se fai gol hai giocato bene e tutto il resto non conta».
Qualche volta pensa: cavolo, potevo incontrarlo prima Sarri?
«Beh, ma io sono un tipo positivo. Penso che devo già essere contento ad averlo conosciuto. E che tanti non hanno la fortuna di incontrare sulla loro strada uno come Sarri, né a vent’anni e neppure a trenta. Credo che il destino sia stato gentile con me più che con tanti altri».
Che consiglio le danno più spesso i suoi genitori?
«Allenati più di un altro».
Ogni suo colpo è improvvisazione o preparazione?
«Ogni tanto viene per la fantasia. Ma dietro c’è tanto lavoro».
Insigne-Mertens-Callejon: è il miglior attacco d’Italia?
«Migliore non lo so. Ma stiamo facendo molto bene, anche perché ci divertiamo tanto a giocare insieme».
Gioca con la maglia numero 14 perché si ispirava a Cruijff?
«No, perché è stato il mio primo numero in una squadra professionista e da allora non l’ho mai voluto cambiare».
Le piacerebbe giocare con la 9?
«No, perché non mi sento un numero 9».
Nel calcio i nemici rendono migliori?
«È come nella vita. Aiutano a crescere. E poi quando giochi contro uno più forte diventi più forte anche tu».
Le cronache parlano di una emergenza baby gang a Napoli. Che idea si è fatto?
«Non ho seguito molto questa vicenda. Ma posso tranquillamente dire che Napoli non mi pare diversa da altre città europee. Anche i miei amici erano preoccupati per me prima che venissi qui. Poi adesso fanno la fila per essere ospitati: si alzano, vedono il mare, prendono un caffè e mi chiedono dove devono andare».
Casa sua, nelle foto sui social, sembra una specie di Bed & Breakfast.
«In effetti, ci piace far venire amici dal Belgio. Anche loro prima di partire pensano di trovare chissà cosa qui a Napoli. Poi se ne innamorano».
Come vorrebbe che la ricordassero quando andrà via?
«Lo posso dire alla fine di questo campionato?».
La bellezza nel calcio è vincere o giocare a memoria come fare voi?
«No, è vincere».
Sarri non sarà contento?
«Noi sappiamo vincere soltanto attraverso il nostro gioco. Che è il riflesso delle idee del nostro tecnico».
Ha una clausola. Secondo lei è molto alta o molto bassa?
«Non lo so. Dipende dagli altri quello che pensano».
Se arrivano di nuovo dalla Cina e le dicono ecco qui ci sono un mucchio di soldi per lei, che fa?
«L’anno scorso è successo. Quest’anno non mi ha chiamato nessuno. Le tentazioni ci sono state ed è normale, umano, pensarci. Ma io volevo continuare a stare qui. E ancora voglio restare qui. Perché sto giocando e mi diverto in campo e sono troppo contento. Mi sento come un bambino in un negozio di giocattoli che può prendere tutto quello che desidera».
È stato a Londra, però, in questi giorni: lì ci sono il Chelsea, l’Arsenal. Il Napoli deve preoccuparsi?
«Ero a trovare i miei genitori. Nessuno deve preoccuparsi (ride, ndr)».
A proposito, era San Ciro ieri...
«Vero, infatti mi sono arrivati un sacco di auguri e di regali. È una cosa che mi fa ridere, i tifosi si divertono a chiamarmi così. Però nello spogliatoio sono Dries…».
La vostra metamorfosi è che sapete vincere anche per 1-0. Dove siete cambiati?
«La fase difensiva è cresciuta. Subiamo poco, stringiamo i denti, sappiamo controllare, capiamo anche quando è il momento in cui possiamo non andare a mille. A noi attaccanti non ci pesa difendere, sacrificarci. Qualche volta è bello recuperare una palla a centrocampo, quasi come un assist».
Cosa è Sarri per il Napoli?
«L’allenatore che ha messo la sua identità, un preciso Dna, in questa squadra. Ed è un bel Dna. Tutti ci ammirano ed è questo un motivo di orgoglio».
Le importa di giocare sempre dopo la Juve?
«No, perché noi guardiamo solo a noi. Tanto noi scendiamo in campo sempre per vincere».
Si sente un top player capace di trascinare anche il Belgio alla vittoria di un Mondiale?
«Non è semplice. La gente dimentica che noi non abbiamo mai vinto nulla, non siamo mai stati neppure in una finale di una Coppa del Mondo e questa cosa ha il suo peso in una competizione di questo tipo. La mentalità è importante».
Già, un tasto dolente. Anche Arrigo Sacchi dice che vi manca l’abitudine di vincere.
«La Juve è più abituata di noi a vincere, loro prendono i migliori da ogni migliore squadra, hanno vinto campionati e hanno sfiorato la Champions due volte. Ed è ovvio che questa cosa aiuta tanto».
Il suo forte legame con Napoli da cosa nasce?
«Ho sempre vissuto a Napoli fin dal primo giorno. Il tempo vicino al mare passa meglio… anche d’inverno».
Si aspettava che Inter, Lazio e Roma frenassero così tanto?
«Un po’ mi ha sorpreso. Ma la serie A non è un campionato facile, al contrario di quello che si pensa. Se non stai bene, puoi perdere ovunque. Appena hanno mollato, sono precipitate dietro».
Nelle decisioni che prende quanto è importante sua moglie?
«Il calcio resta fuori casa mia. Prima di varcare la porta, lascio la borsa sull’uscio. Non parliamo mai di nulla che riguarda il calcio, non vedo neppure le partite in tv nel salotti, mi bastano quelle che mi mostrano Sarri e lo staff a Castel Volturno».
C’è un momento chiave di questa stagione?
«Vincere a Bergamo ci ha dato una energia particolare. Con l’Atalanta abbiamo provato una ebrezza speciale perché vincere lì, e dopo la sosta, non era una cosa facile. E alla fine ci siamo detti: è la strada che dobbiamo continuare a seguire».
Conosce la Mertens di Lovanio semifinalista agli Australian Open?
«Ai miei compagni ho detto che era mia cugina… ma è una bugia. Però loro non mi hanno creduto. Dalle mie parti è un cognome quasi tipo Esposito».
Perché ultimamente quando fa gol fa sempre quella strana faccia?
«Lei riesce a imitarla?… È un modo per dire: hai visto che bel gol ho fatto?!».
Quando si decide il duello scudetto?
«Dopo la partita con il Crotone. Il 20 maggio».
Avete 57 punti, una miriade di record ma un solo punto in più dalla Juve. C’è da essere arrabbiati?
«No, perché se uno vede da chi è composta la Juve, l’alta qualità dei bianconeri, capisce anche il valore della nostra straordinaria stagione».
Domenica c’è una sfida tipo Davide contro Golia: come si prepara una partita contro una squadra che ha 50 punti in meno?
«Tutti dicono che faremo una passeggiata, ma a Benevento non sarà mica semplice se non saremo concentrati. Saremo 11 contro 11 e partiamo 0-0».
Le piacerebbe vedere la sua maglia al museo come quella di Hamsik?
«Speriamo che questo succeda. È stato un bel momento il record di Marek. Ed è stato bello anche indossare la maglia in suo onore».
Sorpreso per l’Italia che non si è qualificata per la Russia?
«Se vedi la Nazionale dici: come è possibile? Però se sei nel girone con la Spagna normale che arrivi secondo. Poi con la Svezia, in due partite, può succedere di tutto. E infatti è successo».
Consiglierebbe di venire a giocare in serie A?
«Sì, è un bel campionato. Un po’ maltrattato all’estero ma non per il livello del gioco o dei giocatori. Magari il problema è che si vedono spesso gli stadi vuoti. Ed è su questo che bisogna lavorare».
Se Sarri le chiede di tornare sulla fascia?
«Per vincere lo scudetto faccio sia il terzino che il portiere anche se Reina non sarebbe felice…».
Verdi, in fin dei conti, ha fatto bene a non venire: con lei quando avrebbe giocato?
«Verdi ha fatto una scelta personale. E noi l’abbiamo accettata. Sono sicuro che avrà un grande futuro. Magari viene in estate qua…».
Viene qua ma trova lei con la maglia da titolare?
«Certo. Ma spazi ce ne sono per tutti. E una squadra forte ha bisogno anche di una panchina forte».
In ottica scudetto, tifa per la Juventus in Champions?
«Io tifo per il calcio italiano, perché in A siamo contro ma poi è bello vedere qualcuno che è tuo rivale qui andare avanti in Europa. Dà anche più valore al nostro cammino in campionato. Non penso alla stanchezza. È piacevole anche vedere il bel cammino della Lazio in Europa League».
A proposito, quindi non pensate solo al campionato?
«Ma è una sciocchezza. Vogliamo andare avanti anche in Europa League. Molto avanti. Ma il sorteggio non ci ha dato un buon avversario: il Lipsia ha giocatori giovani e forti».
Fonte: Il Mattino