CdS – Hamsik: “A Napoli mi sento come a casa. Il rimpianto si chiama Dnipro”

Lo slovacco ha un sogno chiamato scudetto

CdS – Hamsik: “A Napoli mi sento come a casa. Il rimpianto si chiama Dnipro”

Il Re è «nudo», solo con se stesso, con la propria coscienza e il proprio decennio, dinnanzi allo specchio in cui la sua Napoli viene svelata nei segreti più vivi: Si scrive Hamsik e poi si riscrive la Storia del Napoli nella quale persino (e solo statisticamente) il più grande di tutti – anche per il capitano – Diego Armando Maradona è stato costretto a scivolare un po’ lateralmente: 117 reti, la sintesi d’un momento, dell’estasi, d’una sensazione che resta dentro Hamsik da undici anni in qua. «Quello con il Milan: settanta metri di campo, palla al piede, senza vedere niente intorno, con lo sguardo perso, mentre mi avvicinavo alla porta avversaria. Quasi senza pensare, sino al limite area: tiro, no finto, Kaladze va da una parte ed io calcio e segno sul primo palo». Ecco quanto detto dallo slovacco nell’intervista rilasciata al Corriere dello Sport.

Il gol più emozionante. «Il 3-2 a Torino in casa della Juventus, per come è maturato, visto che eravamo andati in svantaggio per 2-0, per quello che sapevo valesse per la città. Poi l’abbraccio a peso morto su una parte della tifoseria che incrociai mentre correvo come un matto. Quella sera ho capito più di ogni altra volta cosa significasse vincere con i bianconeri».

Il gol più romantico. «A Bratislava, contro lo Slovan, con tutta la mia famiglia in tribuna, tra i miei amici, tra la mia gente, con quello che ti riesce di vivere dell’infanzia, dell’adolescenza, di momenti che rimangono dentro per una vita intera».

Il gol più classico?
«A Palermo, diciamo quello del 2008 per semplicità; o potrei dire anche uno dei tanti che ho segnato ad una squadra che evidentemente mi ispira. Prima che ne facessi tre al Bologna, era con il Palermo che mi accanivo».

Il gol più esagerato? «Mi viene da pensare a quello in Romania, a Bucarest, sotto di tre gol dopo un quarto d’ora, poi accorcia Vitale nel finale del primo tempo. Io tiro da venticinque metri e prendo con un diagonale l’incrocio. Il resto lo fa Cavani, al settimo di recupero. Ma il 3-2 ci diede la scossa per crederci».

Il gol più prezioso?
«In finale di Coppa Italia, la prima, a Roma contro la Juventus. E’ la legittimazione di un ruolo. Stavamo crescendo, ma ci mancavano i successi: con quello, è cominciata la nostra piccola stagione, perché poi ne abbiamo raccolti altri due. Ma quella fu la scoperta della gioia».

Il gol più «pazzo»? «Forse a Marassi, contro il Genoa, nel 2013, altra partita strana: eravamo reduci dal successo sul Dnipro, con poker del Matador, ma ci trovavamo due volte in svantaggio. E sul 2-2, al novantesimo, cross dalla destra di Mesto, mi sembra, ed io di testa in tuffo faccio 3-2, prima che Insigne chiudesse con il quarto gol».

Il gol più potente? «Si può scegliere, perché ne ho fatti alcuni simili. Penso a quello con il Catania, girata di sinistro al volo, su una palla che rotolava ali limite area. Trovai un angolo di passaggio impensabile e l’incrocio dei pali. O anche Istanbul».

Il gol più elegante? «Non mi è mai dispiaciuto quello con la Sampdoria, lo slalom nell’area di rigore avversaria, un palleggio mi sembra anche con la suola».

Il gol più inaspettato? «Dubbio: uno dei tre a Bologna, all’incrocio; la staffilata a Istanbul, che m’è venuta così, quasi all’improvviso. E’ vero che l’avevo preparata, ma temevo che uscisse il difensore a chiudere».

Perché Napoli? «Perché mi volle quando ero ancora un ragazzino, avevo vent’anni. E non mi sono mai pentito, neanche all’arrivo, quando un gruppo di tifosi contestava la società per il mercato. Lo scoprii dai giornali, non li avevo neanche sentiti».

Perché Napoli per sempre? «Perché sono felice io e lo sono i miei familiari. Perché qui mi hanno fatto sentire a casa, in ogni momento. Perché la città è bella e la gente è calorosa. Quando sono stato tentato da Juventus e Milan, non ho mai vacillato: un po’ non mi sentivo pronto, un po’ non volevo andar via. Professionalmente ed umanamente mi sento realizzato e credo – anche se il calcio non spinge a previsioni – che la mia carriera finirà qua».

Perché Castel Volturno? «Perché volevo stare vicino al centro sportivo, senza avere troppa strada da fare con la macchina. E quando ci sono arrivato, mi sono integrato subito. Ma il merito è della gente, del loro affetto e, contemporaneamente, della loro discrezione. Ormai sono oltre dieci anni che sto qua, il luogo, dopo Banska Bystrica, in cui ho abitato più a lungo».

Perché la 17? «Perché io non sono scaramantico, perché quel numero è mio: quando arrivai, nel 2007, io che sono nato il 27, avrei preso la numero 7, presa dal Pocho. E allora, dissi vada con il 17. E’ diventato il mio portafortuna, mi ha portato, statisticamente solo statisticamente, oltre Maradona, il più grande di tutti i tempi».

Cosa farà da grande? «La vecchiaia a Banska Bystrica, la mia terra, quella dei miei genitori, dove tutto è cominciato. E dove io continuerò, un giorno in cui dovrò pure fermarmi».

La sua Napoli. «Lo shopping in centro e le pizze o le cene fuori».

Il suo De Laurentiis. «Un rapporto personale che mi viene da definire speciale. Non so quanti calciatori possono godere del privilegio che ho io: confrontarsi direttamente, senza filtri e senza condizionamenti, con il proprio presidente. Le discussioni non sono mancate, ma sempre nel rispetto reciproco e il mio percorso qua a Napoli è la conferma di una stima che si è radicata».

I suoi allenatori. «Ho ricevuto da chiunque, chiaramente in maniera diversa. Sono grato a tutti, ma penso che Sarri abbia contribuito in maniera decisiva al mio cambiamento. E fa niente che mi sostituisca quasi sempre…».

Il suo rimpianto. «La semifinale di Europa League, contro il Dnipro a Kiev, quella a cui non partecipai dall’inizio. E’ stata una ferita, perché non meritavamo di uscire. E mi sarebbe piaciuto andarmi a giocare la finale di un trofeo internazionale. Era giusto che ci andassimo noi».

La sua speranza. «Si chiama scudetto. E’ la mia, è quella dei tifosi, di De Laurentiis, dei compagni di squadra. E credo sia anche l’augurio di chi ama il calcio, perché giochiamo in maniera meravigliosamente bella e penso che meriteremmo di vincerlo».

La Redazione

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