Per Sarri ed Allegri un primo accenno di fuga, in uno slalom parallelo di altissimo livello.
Il resto della giornata – oltre alla bellissima vittoria del Cagliari a Bergamo e al primo successo in serie A del Benevento – ha fatto registrare il vivace dibattito sull’utilizzo del Var. Già, sull’utilizzo del Var, non semplicemente sul Var, che resta un’innovazione da difendere, perché aiuta a correggere gli errori. Sì, ma una volta giudicato positivamente lo strumento, viene da chiedersi – e lo hanno fatto gli allenatori – se poi lo strumento venga utilizzato nel modo giusto, o almeno con l’uniformità che servirebbe. A Firenze, ad esempio, si è fatto sentire Pioli, assolutamente a ragione, chiedendosi perché nessuno ha avvertito l’arbitro – e se è stato fatto, perché l’arbitro non ne ha tenuto conto – del fallo di Romagnoli che al di là di qualsiasi valutazione soggettiva avrebbe meritato il rosso. Le espulsioni, d’altronde, sono proprio un esempio di scuola: in casi del genere, per aiutare l’arbitro a non sbagliare, bisogna intervenire e accendere un riflettore sull’episodio. Ecco, la domanda è questa: ma in base a cosa si decide di dare un conforto al direttore di gara o no? Di sicuro non si può sostituire la discrezionalità dell’arbitro – che tanti danni ha fatto in passato – con la discrezionalità del Var a suggerire un intervento che corregga l’errore.
Ne sa qualcosa, anzi molto più di qualcosa, la Lazio. E anche se non tutti hanno capito il discorso di Inzaghi – addirittura in tv c’è stato chi lo ha invitato a cambiare argomento – non c’è dubbio che il tecnico laziale abbia invece molte ragioni nel farsi sentire. Non per l’episodio di San Siro – in cui Rocchi si è giustamente corretto non assegnando il rigore – ma per quello che in un recentissimo passato hanno dovuto sopportare i biancocelesti. Se l’arbitro ha sentito correttamente il dovere di andare a riguardare le immagini alla moviola, perché altrettanto non ha fatto Giacomelli in Lazio-Torino? Invece di troncare la discussione, in nome di chissà quale principio, sarebbe molto meglio parlarne, lasciar parlare Simone Inzaghi che giustamente pone un problema di utilizzo del Var. È solo così, non mettendo la testa sotto la sabbia, che si migliorano le cose e il prodotto calcio italiano cresce di valore. Insomma, è un bene che il nostro campionato abbia fatto da apripista all’innovazione tecnologica, ma non è possibile ignorare il coro di critiche che ne sta accompagnando il modo di metterla in pratica. Certo è che la Lazio, semplicemente correggendo tutti gli errori degli arbitri, avrebbe una classifica ben diversa e non sarebbe stata addirittura costretta a fare a meno di Immobile, per una protesta legata proprio a un’azione in cui – palesemente – gli sarebbe stata riconosciuta la totale ragione.
Il Var è stato decisivo anche nel pareggio della Roma. Di Francesco, in questo caso, ha puntato l’indice sui tempi di controllo, sulle pause, che costringono giocatori e spettatori a gioire, ad aspettare, a volte eccessivamente, spezzando così il ritmo oltre all’entusiasmo. Anche in questo caso è bene parlarne, come però la Roma deve parlare al suo interno di questa difficoltà di far gol che sta diventando significativa, se non preoccupante, per una squadra che giustamente ambisce a traguardi importanti. La Roma è alle prese con l’inserimento, badate bene non col problema, di Schick, ma anche con numeri complessivi legati ai gol degli attaccanti. Le sei punte romaniste – da Dzeko a Schick, da Perotti a El Shaarawy, da Defrel a Under – hanno finora segnato quindici gol. Meno di quanti ne hanno fatti da soli Icardi (17) e Immobile (16), poco più di quanti ne hanno fatti da soli Dybala (14) e Quagliarella (12). Certo, i problemi legati agli infortuni sono stati parecchi. Ma è difficile tacere sulla rinuncia a un giocatore come Salah – anche se i dirigenti ci hanno detto che è stato lui a voler partire – che in Premier ne ha già messi insieme 17. Il mercato è fatto sì di acquisti, ma purtroppo anche di cessioni che pesano parecchio.
Fonte: Gazzetta