Il simbolo del calcio all’italiana, che è storia e filosofia insieme, si prepara alla sua nuova avventura, nella Juventus di Cina, in quel Guangzhou Evergrande che ha vinto gli ultimi sette campionati consecutivi. «Emozionato? No, direi che più che altro non vedo l’ora. Anche se so che appena arriverò lì mi mancherà Napoli». Fabio Cannavaro è partito da Napoli ed è arrivato ovunque, costringendo molti padreterni, da Zidane a Ronaldo, a inchinarsi al suo cospetto. Baluardo e fotografia, cuore e anima dell’Italia che trionfò a Berlino nel 2006, come Meazza lo fu a Roma nel 1934, Piola a Parigi nel 38 e Rossi a Madrid nel 1982.
Cannavaro, nel 2018 ci sarà un Mondiale senza Italia. Come si sente?
«Ne ho già assaporato l’amarezza a Mosca, nel giorno del sorteggio dei gironi. Io c’ero e mi sono sentito una specie di pesce fuor d’acqua. È stato tutto diverso prendere parte a una festa e rendersi conto di non essere altro che un ospite».
Che cosa deve fare il nostro calcio per rialzarsi?
«Per prima cosa smettere di inseguire i modelli altrui. Mi fa ridere l’idea di dover imitare la Germania o l’Inghilterra o la Francia. Abbiamo la nostra cultura e la nostra tradizione e ripartiamo da qui. Ovvio, con nuove regole. Abbiamo toccato il fondo e può essere più facile far accettare delle decisioni».
In Germania abbiamo toccato il cielo con un dito. Poi cosa è successo?
«Eravamo ammalati già allora, solo che quella coppa del Mondo e la finale anche dell’Europeo del 2012 hanno nascosto i nostri problemi, hanno fatto perdere di vista i veri obiettivi. Dovevamo già iniziare da tempo un processo di cambiamento, che ora non possiamo più rinviare anche perché la gente non aspetta altro».
Tavecchio ha pagato, Ventura pure. Ma i calciatori che sono andati in campo con la Svezia colpe non ne hanno?
«Non mi pare che ci sia chi non abbia dato il massimo. Non mi sembra che ci siano state delle loro responsabilità».
Chi è la favorita in Russia?
«Brasile e Germania sono sempre quelle che alla fine trovi almeno in semifinale. La Francia è molto forte, un buon gruppo. Ma per me questa è la volta buona che il Belgio possa regalarsi delle belle soddisfazioni».
E per la sua Napoli, nell’anno nuovo, cosa si augura?
«Sono preoccupato. Purtroppo c’è un senso di abbandono in tutto. Ed è un peccato. Le strutture sportive sono carenti. Quando passo per l’Italsider, dove dalla Loggetta prendevo il bus 141 per andarmi ad allenare, mi chiedo come sia possibile che non sia stato fatto ancora nulla in tutti questi anni. Ogni volta ho un colpo al cuore. Il centro Paradiso non esiste più e bisogna fare un progetto per ripristinare i tanti campi del centro cittadino che non ci sono più. Io mi chiedo? Vero, ci sono una miriade di scuole calcio, ma una volta finita la lezione di un’ora, dove vanno a giocare migliaia di ragazzini? Io lo facevo per strada e ma ora non è più possibile».
Il Collana è una ferita ancora aperta?
«Meglio che mi stia zitto. … è assurdo, hanno avuto la possibilità di dare a un privato che avrebbe investito soldi, tanti soldi, un impianto che ha fatto la storia di Napoli e invece… Lo avremmo recuperato e rilanciato, fatto divenire un fiore all’occhiello della città. Certi atteggiamenti faccio fatica a comprenderli»
Si è arreso?
«Degli sviluppi ci saranno, perché le questioni sono in mano ai legali. Ma hanno perso tutti: da noi agli olimpionici. Nessuno si è reso conto dell’occasione perduta. E poi per cosa? Per le Universiadi. Davvero, ancora non ci credo».
Meno male, quindi, che adesso se ne va al Guangzhou?
«Certo, anche perché ora mi manca il campo. E non vedo l’ora di iniziare anche se questa è la mia città e mi mancherà un istante dopo in cui sarò salito in aereo».
Non sarà facile vincere ancora?
«Puntiamo alla Champions asiatica. Ma anche all’ottavo titolo cinese consecutivo. La sfida più difficile è ridare stimolo a una squadra che sa di essere la più forte di tutte. Però è anche vero che bisogna ringiovanire il gruppo, che ha una età media di circa 30 anni. Bisogna ringiovanire e continuare a vincere anche perché il governo sta imponendo delle regole sempre più severe».
Difficile convincere suo fratello Paolo a smettere di giocare?
«All’inizio ci ha pensato, ha esitato, mi ha detto ma che fai scherzi?. Io gli ho spiegato che se voleva fare l’allenatore gli davo la possibilità di farlo, senza dover vivere quel momento complicato tra quanto si smette di giocare e quando si inizia la seconda parte della propria vita. Farà il mio assistente per due o tre anni poi se ne andrà da solo. Pensava di poter iniziare a giugno, ma gli ho detto che non era così… alla fine si è messo il cuore in pace ma con grande sofferenza perché il rapporto con la famiglia Squinzi e con il dg Carnevali è stato eccezionale».
Se Paolo la contraddice davanti a tutti, in pubblico?
«Lo sa già: lo metto ad allenare i cinesini… e poi guai se non mi chiama mister».
Con Sarri a Castel Volturno che vi siete detti?
«In generale gli ho spiegato quello che c’è adesso in Cina. Ho visto poco del suo allenamento, ma subito sono emerse le sue qualità migliori».
Ovvero?
«La cura del particolare. Si capisce che è maniacale, che il Napoli è una squadra che prepara e fa attenzione ai dettagli e che non lascia nulla al caso».
E dei suoi rivali nella corsa al titolo, Allegri e Spalletti?
«Io mi sento più vicino a Luciano. Nel senso che di Allegri i risultati dicono tutto del suo valore assoluto. È un tecnico camaleontico, che si adatta a qualsiasi situazione in campo. La squadra non ha uno schema predefinito: si adatta e molto spesso vince. E con merito».
E l’allenatore dell’Inter perché è quello che sente più vicino?
«Perché è quello che ho studiato di più. Il suo gioco non prevede schemi fissi, non prevede giocate predefinite: lascia molto spazio all’inventiva del calciatore, gli dà due o tre indirizzi importanti e poi lascia fare».
Fosse in Sarri sacrificherebbe l’Europa League per il campionato?
«Macché, il Napoli ha le caratteristiche per vincere tutto. Non penso che sia una squadra stanca, quello che è successo tra novembre e dicembre è stato solo un calo legato agli infortuni. La rosa è certamente un po’ corta ma perché due pedine fondamentali si sono infortunate. Se manca Ghoulam è ovvio che tutta la parte sinistra del campo ne risenta. E che ne risentano anche Insigne e Hamsik».
A proposito di Marek: il record dei gol è tutto suo. Ha superato Maradona.
«Per carità, nessuno può mettersi a paragone con Diego. Hamsik è straordinario. Poi fare tutte quelle reti, per un centrocampista, non è cosa di poco conto. Credo che in Italia si siano visti pochi centrocampisti veramente forti come lui. Io penso a Nedved e Diego Fuser. Lui consente di avere una marcia in più perché quando un allenatore fa degli acquisti, pensa anche a chi oltre gli attaccanti dovrà segnare».
Napoli e Juve sembrano in fuga. Ma restano in corsa anche Inter e Roma. Questo grande equilibrio da cosa verrà deciso?
«La differenza la fa sempre la voglia di vincere, che è quella che fa pendere l’ago della bilancia negli scontri diretti e nelle partite chiave»,
C’è già una sua favorita per la Champions?
«Fino a tre settimane fa il Psg sembrava la candidata più accreditata, ma negli ultimi tempi ha avuto dei problemi. Questi ottavi diranno molto perché alcuni scontri-diretti sembrano già delle finali».
Bando alla scaramanzia, questo Napoli può vincerlo lo scudetto?
«Ha tutti i mezzi per arrivare fino in fondo: un grande allenatore, tanti campioni, un bel gioco, una eccellente organizzazione».
La rosa non sembra, però, lunghissima.
«Il primo anno con Capello alla Juventus, nel 2004, eravamo in 14. Eppure alla fine il campionato lo vincemmo noi. La rosa corta non deve essere un alibi, perché è vero che Inter e Juve in termini di organico hanno molte più alternative, ma alla fine giocano quasi sempre gli stessi».
Fonte: Il mattino