A Il Mattino ha parlato l’allenatore della Sampdoria, Marco Giampaolo. C’è da giurarci, prima o poi anche il suo cognome diventerà un aggettivo. Come lo è il sarrismo o il guardiolismo. Un giorno, c’è da giurarci, si dirà: giampaolismo. Il significato, d’altronde, è lo stesso. Vuol dire essere zen, andare avanti per la propria strada. Credere nella bellezza di un’azione non nella certezza di un risultato.
Marco Giampaolo, cosa vi è successo dopo la vittoria con la Juve?
«I risultati non si possono smentire. Però dietro i risultati ci sono le prestazioni, gli episodi. Noi possiamo dire di aver sbagliato a Bologna ma nelle altre gare l’impegno. E la prestazione ci sono sempre state. Ci gira anche qualcosa storto, nell’arco di una stagione può capitare, dobbiamo essere bravi a gestire con intelligenza questa fase».
La Samp è un altro Napoli come gioco e mentalità?
«Non è corretto fare questo tipo di paragoni, stiamo parlando di realtà diverse con obiettivo differenti. Ci può unire l’idea di giocare sempre la partita, ma più in generale è la nuova tendenza che si riscontra nel campionato italiano, esaltata dal Napoli».
Cosa le piace di più di Sarri e secondo lei vincerà lo scudetto?
«Non lo so, è un amico e quindi glielo auguro, però la concorrenza è ancora importante e pure allargata. Di Sarri mi piace la coerenza e lo studio, che lo ha sempre contraddistinto, dei particolari. La sua passione per il calcio è enciclopedica».
E la sua Samp?
«Ci sono club che, sia a livello economico sia a livello tecnico, sono seguiti dai punti esclamativi, partono con l’obbligo del traguardo. Noi, nel mazzo del campionato, siamo il jolly con la faccia simpatica».
Sarri è arrivato dall’Empoli. Si sente pronto per una big?
«Io mi preparo per la prossima partita, oramai ragiono così, non faccio progetti se non quelli legati al mio lavoro settimanale, perché nel calcio uno più uno può fare anche tre. Ho la Samp e me la tengo stretta».
Da ct come si vedrebbe?
«Il problema del calcio italiano non è il ct, sono la capacità e la volontà di programmare un percorso calcistico, di fare delle scelte, di portarle avanti, come hanno fatto in Spagna e Germania».
Da Napoli sono arrivati Strinic e Zapata.
«Due ottimi professionisti, inserimenti importanti per la Samp. Entrambi sono arrivati a Genova senza una vera preparazione nelle gambe, soprattutto a livello di partite, quindi inizialmente hanno giocato sulle ali dell’entusiasmo, della voglia, poi hanno pagato un po’ dazio sia a livello tecnico, sono seguiti dai punti esclamativi, partono con l’obbligo del traguardo. Noi, nel mazzo del campionato, siamo il jolly con la faccia simpatica».
L’organizzazione collettiva va sempre preferita alle individualità?
«Altrimenti si gioca a tennis e neppure in doppio».
Pensa sempre che la Var sia l’innovazione del secolo?
«Sì, assolutamente, anche se va calibrato e forse meglio regolamentato, soprattutto per quanto riguarda la composizione delle coppie, ovvero tra chi dirige sul campo e chi lo supporta osservando il video. Anche noi abbiamo pagato qualcosa in tal senso, ma credo che il Var sia la scelta giusta per il calcio moderno. Basta che non diventi un’opinione e un gioco virtuale».
Tra lei e Sarri l’unica differenza è che lei fuma il sigaro e lui le sigarette?
«Non solo. Lui è pure toscano e io abruzzese…».
Vi sentite pesci fuor d’acqua in un campionato dove il risultato è l’unica cosa che davvero conta?
«Penso che nelle ultime stagioni ci sia stato un cambiamento generale, anche da parte di quelle squadre che arrivano dalla serie B e si propongono con un’idea di gioco. Poi, è chiaro, la differenza la traccia la qualità del calciatore, l’unico che può migliorare le idee, qualunque esse siano, di un allenatore».
Il calcio a suo avviso è una scienza?
«Una scienza inesatta. Ed è questa la straordinaria bellezza che ne alimenta la passione e quell’aspetto ludico, giocoso, fanciullesco, che non va mai dimenticato. Neppure quando giochi o alleni ai massimi livelli».
C’è una squadra del passato che l’ha ispirata?
«Nel percorso di allenatore si vivono varie fasi, penso a quando studiavo il Milan di Sacchi o il primo Chievo di Delneri. Durante un periodo di riposo forzato ho avuto la possibilità e la fortuna di sostare a Barcellona per seguire gli allenamenti di tutte le loro squadre, dai bambini agli extraterrestri di Guardiola o alla seconda squadra allora guidata da Luis Enrique. Credo che ogni allenatore, anche diverso da te per mentalità e filosofia di gioco, possa proporre spunti di riflessione interessanti: lo studio globale è la ricetta per tenersi al passo con i tempi del calcio».
E se dopo Sarri fosse lei a raccoglierne l’eredità al Napoli?
«Il problema non si pone perché Maurizio resterà a lungo a Napoli».
Sacchi ha sempre detto che lei e Sarri siete due tra i migliori di tutti.
«Possiamo solo ringraziare Sacchi, non tanto per le belle parole nei nostri confronti, ma per essere stato uno degli allenatori che hanno inciso più profondamente nella storia del gioco in Italia».
Si convertirebbe a un catenaccio alla Mourinho per lo scudetto?
«Anche Mourinho ha inciso nella storia del gioco e non solo perché ha vinto tutto non solo con l’Inter. Il calcio è come il gelato: c’è a chi piace il cioccolato e a chi piace la crema, ma se il gelato è preparato con passione, serietà e dedizione sempre buono è».