Il Mattino – G. Zola: “Al nostro calcio non basta Ancelotti”
Dal suo osservatorio londinese Gianfranco Zola, ex campione del Napoli e del Chelsea, ha idee molto chiare sulla crisi del sistema calcistico italiano, culminata nell’esclusione della Nazionale dai Mondiali 2018. «Bisogna riportare il calcio, e la qualità dei giocatori, al centro dei discorsi». Lui, erede di Maradona e azzurro durante la gestione di Sacchi (vice campione del mondo nel 1994), non si è ripreso dallo choc di lunedì sera. «Amarezza e stupore i miei stati d’animo».
Come è stato possibile farsi eliminare dalla Svezia, nazionale numero 25 al mondo? «Un avversario rispettabile ma non pensavo che fosse in grado di escluderci. È difficile abituarsi all’idea di un Mondiale senza Italia. Si potrebbe avere un rimpianto: se non avessimo trovato la Spagna magari saremmo arrivati primi nel girone di qualificazione».
Colpa di Ventura, solo sua? «Meglio non fare tanti giri di parole: il tecnico ha fatto senz’altro errori. Ci sono state valutazioni sbagliate e non sono arrivati i risultati. Ma si farebbe un altro errore, ancor più grande, a fermarsi qui nel ragionamento su un avvenimento di portata purtroppo storica. I problemi che ci trasciniamo dietro da tempo erano stati nascosti negli Europei del 2016 da quel fenomeno di Conte».
Il primo problema qual è? «Il calcio italiano soffre sul piano dei risultati perché ha un limite qualitativo. A una finale di Champions League è arrivato negli ultimi anni soltanto un club, la Juve. Ecco perché dico che Conte è stato un fenomeno, raggiungendo i quarti degli Europei dove è stato battuto ai rigori dai campioni del mondo della Germania. Sarebbe facile ma riduttivo puntare il fucile sull’allenatore che lo ha sostituito. No, non va bene».
Però Ventura ha precise responsabilità: ha lasciato fuori dagli spareggi Insigne, il miglior giocatore del campionato. «È stata una cosa strana, anche vedendo le caratteristiche degli avversari. Un calciatore con le qualità di Lorenzo avrebbe potuto fare la differenza. Non voglio ridurmi a commenti da bar, so che le dinamiche possono essere diverse quando sei all’interno di un contesto, ma quel tipo di attaccante sarebbe servito per rompere le linee difensive, molto strette, della Svezia».
Si deve andare oltre gli errori di Ventura e la panchina di Insigne, però. «Non ho la presunzione di poter arrivare al nocciolo della questione, però onestamente non vedo una Nazionale in cui vi sia quella qualità che ci ha sempre contraddistinti grazie alla tipologia di alcuni giocatori, quelli che fanno la differenza. Un tempo c’erano contemporaneamente Baggio, Mancini, Zola e crescevano già Del Piero e Totti. Sotto questo aspetto la Nazionale è povera e lo è anche il campionato. C’è Insigne e poi?».
Cosa ha provocato questo vuoto? «Bisogna creare le condizioni affinché vi siano calciatori di qualità e il discorso parte dai settori giovanili, dove l’obiettivo primario è il risultato e si penalizzano quelli che hanno bisogno di tempo per crescere, anche correndo rischi e commettendo errori. Se il mio primo pensiero deve essere il risultato, faccio la giocata semplice e diretta ma così non cresco e non miglioro. Chiediamoci perché prima c’erano tanti calciatori con queste eccellenti caratteristiche e adesso sono pochissimi. Non emergono perché non si dà tempo. Nel Napoli di ventotto anni fa io ho fatto la gavetta e ho maturato esperienza, mi è stato consentito di compiere un percorso e di trovare gradualmente spazi più ampi. È un percorso che può costare qualche frenata e qualche sconfitta, ma è fondamentale per un calciatore e per una squadra, che riceve vantaggi da uomini che fanno la differenza. Un modulo o un tecnico deve poter contare su elementi di qualità che esaltino il gioco, sappiano leggere la gara e magari cambiare copione».
Al Mondiale del 1994 la Nazionale aveva Baggio e Zola, a quello del 2006 Del Piero e Totti: e poi? «E poi non c’è stato il ricambio generazionale. Il calcio è tattica e atletismo, ma è anche qualità. Chiediamoci perché non siamo più il campionato in assoluto più forte, quello che esprimeva squadre in grado di dettare legge in Europa. Tolta la Juve, che ha fatto storia a sé, tutti gli altri club faticano. Non siamo sul livello degli altri Paesi e questo nonostante vi siano allenatori tipo Sarri, che ha dato al Napoli un gioco fantastico, come dico da due anni in Inghilterra. È da apprezzare anche Giampaolo, che si è rimesso in discussione e sta facendo un ottimo lavoro con la Samp. Avere tecnici che puntano sulla qualità è una fortuna. In Italia abbiamo vinto spesso con l’acume tattico ma contano altri fattori, come coltivare una buona espressione di gioco. Non mi permetterei mai di criticare i calciatori di ora: vorrei però vedere altra qualità, si eleverebbe il livello della competizione interna».
Vive tra l’Inghilterra e l’Italia, due mondi opposti e non solo calcisticamente. «Attraversiamo una fase di sofferenza economica e sociale e questo incide anche sullo sport. Poi ci sono le differenze del settore. Io ho lavorato a Birmingham, in serie B: c’erano impianti perfetti e organizzazione eccellente. Questo è l’indice della qualità di un sistema. Non potrà esservi un reale livellamento con altri Paesi – penso all’Inghilterra ma anche al Belgio – se non ci sarà lo scatto sul piano dell’organizzazione e degli impianti».
Lei entrò nello staff federale come vice allenatore della Under 21 nel 2006, dopo il trionfo mondiale e dopo lo scandalo di Calciopoli: in undici anni ci sono stati soltanto passi indietro. È stata quella la prima occasione di svolta fallita? «Forse il successo al Mondiale aveva fatto credere che i problemi fossero stati risolti: così non era e si è visto. Si può fare meglio, si deve fare. L’Italia ha l’occasione di ripartire e porre le fondamenta per vincere non un Mondiale ma tanti, come è accaduto in Germania e Spagna, dove è stato fissato un programma ed è partita una ristrutturazione. Prendiamo quelli come esempi virtuosi e lavoriamo fino in fondo, non fermiamoci alla superficie. Perché il nuovo allenatore della Nazionale sarà bravo ma non sarà dotato di bacchetta magica».
La traballante Federazione di Tavecchio tenta il grande colpo: Ancelotti, suo allenatore a Parma e nella Nazionale guidata da Sacchi. «Bravissimo, intelligente, perbene. Ma Carlo non può risolvere tutto da solo. Ha bisogno di un supporto forte, deve potersi trovare in difficoltà nella scelta di un Baggio o di un Mancini, come accadeva anni fa. Bisogna rimettere tutto in discussione perché servono decisioni coraggiose, dure e difficili per ripartire».
Il presidente federale, intanto, non si è dimesso. Da parte si sono fatti soltanto i calciatori perché Tommasi, il numero uno del sindacato, non ha partecipato al vertice di Roma due giorni dopo l’eliminazione mondiale. «C’è la necessità di coinvolgere in questo discorso di innovazione chi conosce bene il calcio affinché dia i corretti input, soprattutto se si deve ripartire da zero, perché solo così si può fare rifiorire il sistema. È emblematico che Tommasi l’altra sera sia uscito dalla riunione: secondo lui evidentemente non c’è l’intenzione di azzerare e ripartire. Quel gesto mi ha colpito perché Damiano è serio e so quanto sia legato al calcio».
Boban è entrato nella Fifa presieduta da Infantino ed è il motore delle innovazioni. E qui in Italia? Ex campioni come Zola sono pronti a contribuire al rilancio? «Voglio essere costruttivo, mi piacerebbe essere utile sul piano delle idee anche per lo 0,01 per cento. Non faccio propaganda attraverso un’intervista, le mie sono le riflessioni di chi ha vissuto con altri milioni di italiani un momento di profonda amarezza, consapevole che il problema non nasce e finisce con l’esclusione dal Mondiale. Tutti amiamo il calcio, tutti gli dobbiamo qualcosa e tutti a questo punto vorremmo offrire un contributo. Ci sono calciatori ed ex calciatori che possono dare spunti utili perché conoscitori del mondo federale, dei campionati, dei vivai. Non è il momento di pensare ai diritti televisivi, per essere chiari. Il primo interesse è il calcio, è quello che accade sul campo e va subito migliorato».
La Redazione