L’Italia del pallone ha accusato di brutto il colpo della mancata partecipazione ai prossimi mondiali di Russia. Da ogni direzione si sta invocando una rifondazione del sistema calcio tricolore e ciascuno ritiene di possedere la ricetta vincente. Chi invoca una riduzione del numero di stranieri nelle squadre con conseguente valorizzazione dei vivai nazionali, chi invece ritiene necessaria una rifondazione dell’intera federazione. A Napoli, dove pure è forte l’attaccamento per l’azzurro più intenso che fu di Zola e Baggio, molta curiosità hanno destato le recenti esperienze in nazionale di Insigne e Jorginho, attaccante e regista del Napoli di Sarri. Sul talento di Frattamaggiore si è già detto e scritto di tutto ma, quello che ha fatto più male (…non solo ai napoletani…) è tutto ciò che si sarebbe voluto e potuto scrivere, se solo l’ormai ex cittì Ventura avesse fatto scelte di testa piuttosto che di pancia. Dopo averlo impiegato da esterno sinistro, in un improbabile 4-2-4 senza capo né coda, nei centottanta minuti contro la Svezia, al Magnifico sono stati concessi non più di venti minuti, da mezzo sinistro, alla Hamsik tanto per capirci. Nel return match di Milano, solo panchina per il numero 24 del Napoli, nonostante alcuni suoi compagni di nazionale, De Rossi in primis, ne caldeggiassero l’utilizzo anche a partita in corso. Per fortuna i commissari tecnici vanno e vengono mentre Lorenzo Insigne ha un’età tale che potrà ancora dare molto anche alla nazionale italiana oltre che alla sua squadra del cuore. Discorso diverso quello che riguarda Jorginho, brasiliano oriundo nelle file dell’Italia. Dopo mesi in cui in molti ne avevano auspicato la convocazione in nazionale, la chiamata di Ventura è arrivata alla vigilia del doppio confronto con la Svezia ma, per vederlo finalmente in campo, abbiamo dovuto attendere la gara di ritorno. L’esordio con la nazionale di adozione del regista del Napoli è stato positivo, tra i pochi a salvarsi dalla mediocrità generale. Ma c’è di più. Con Jorginho in campo si sono riviste le due filosofie calcistiche dominanti in Italia: il sarrismo e il maxismo (da Max Allegri). Con il pallone tra i piedi del numero 8 del Napoli, l’azione dell’Italia si sviluppava con una verticalizzazione oppure con una apertura sulle fasce. Quando il terzetto di difesa, il cosiddetto blocco Juve (…Bonucci ne ha fatto parte fino a poco tempo fa…) giocava il pallone ignorando la linea di centrocampo, l’azione (…se così si può definire…) si esauriva in un lancio lungo alla ricerca della giocata del singolo. In altri termini, alcune volte sembrava di assistere ad una partita del Napoli, (…con le dovute differenze…), altre invece ad una della Juventus. Insomma, una partita nella partita, un nuovo capitolo della avvincente sfida tra Sarri e Allegri. Lasciatemi dire, con tanto orgoglio, che se qualcosa di buono l’Italia ha fatto è stato quando si sono viste in campo le geometrie sarriste. Peccato che Giampiero Ventura non abbia attinto a piene mani dal tesoro creato dal tecnico nativo di Bagnoli, poiché con anche Insigne in campo, il regista brasiliano avrebbe avuto un punto di riferimento importante per lo sviluppo della manovra d’attacco. Probabilmente sarò accecato dall’azzurro del Napoli e dalla grande bellezza che il suo gioco produce ma i fatti, fino a prova contraria, danno ragione a tutti i sarristi convinti.
Riccardo Muni