Totore ‘o chiattone e Vicienzo anema longa si abbracciano e piangono. Non gli capita spesso, ma stavota lo sentono davvero: il desiderio forte, “vivo” di poter tornare giù. Giù, solo per un minuto, per le strade di Napoli. Per poter “vivere” quell’ attimo, per poter dire e raccontare “c’ero anch’io”. Non è possibile, lo sanno. La nuvola che li ospita permette loro di poter vedere e sentire tutto, tutto quanto accade sulla terra, a casa, in città, ma di ritornare, anche sotto altre forme, è severamente vietato. Ma la nuvola non lo sa, il “capo” non lo sa, nessuno può sapere cosa significa quel giorno, quel 10 maggio 1987 per due come Totore e Vicienzo. Una vità intera persa dietro ad un colore, a cementare una passione, a venerare una maglia ogni domenica e tutti gli altri giorni ancora, a rischiare di rovinare il matrimonio e poi, vedere raggiungere il traguardo più bello, realizzare il sogno, quando loro non possono essere lì a festeggiare, a cantare e a piangere, sì, piangere, con gli altri. La felicità la sentono ugualmente esplodere dentro, ma essere lì, significherebbe essere in Paradiso. Gesù, è vero, loro in Paradiso ci stanno veramente, ma quell’ altro, quello in terra, oggi è più Paradiso del solito. Totore e Vicienzo, vorrebbero fare soprattutto una cosa. Andare da quel piccoletto, ‘o ricciulillo, accarezzargli i capelli e dirgli semplicemente “grazie”. Lo hanno gridato a squarciagola, tra le lacrime, ma chissà se lui l’ha sentito. Il gigante dalla barba bianca, incuriosito dagli schiamazzi, si porta sulla loro nuvola. “Cos’è questa confusione?”. I due amici, con gli occhi, gli fanno segno di guardare in basso, verso quel puntino azzurro in estasi. “Che io sia lodato! Cosa succede laggiù?“- chiede con il suo vocione buono. “Signò, il Napoli ha vinto lo scudetto, è stato il più forte di tutti, di tutti, pure di chi vince sempre!” – risponde Totore commosso. “E lo sapete di chi è il merito, Signò? Di quello là, vedete, quello piccerillo, il nino, quello con i capelli ricci che adesso è portato in trionfo. Si chiama Diego, è argentino, per noi, d’ora in poi, sarà un poco San Diego!”– continua Vicienzo. “Beh” – conclude il Signore – “Uno che rende felice in questo modo un’ intera città, più che San Diego, lo possiamo anche chiamare Dio, anzi, vista la provenienza, D10S. Se lo merita!”
Ed oggi, da tutte le migliaia di Totore e Vicienzo, Pasquale e Totonno, Sisina e Nunziatina, Ninuccia e Maria, in cielo ed in terra, Auguri, Diego!
a cura di Gabriella Calabrese