Il belga una volta era lo spaccapartite, il precario del Napoli. Ricordate?

Lo spaccapartite: e ormai sapeva di destino. Entra, s’intrufola e la cambia, tra scatti sferzanti e allunghi poderosi, una serie di allunghi e un prodigio part-time: il Dries Mertens prima maniera è un precario del calcio, un talento spostato ai margini (del campo), ignaro – pure lui – d’avere in sé ben altro. Anno di grazia 2013-2014, il meglio della sua avventura napoletana, con 13 gol (complessivi) 47 presenze complessive, 2600 minuti giocati, ma venti volte sedendosi (all’inizio) in panchina. La svolta è spesso (sempre) a partita in corso, tendenza che viene assunta pure da Sarri; Mertens gioca egualmente tanto, 40 partite, però somma appena 1682 minuti e gli sono sufficienti per andare in doppia cifra (11 gol), ma le venticinque panchine si fanno sentire e a Pescara, la prima del 2016-2017, l’amarezza viene espressa con lo sguardo truce del belga verso la panchina dopo la doppietta modellata cominciando la sua gara all’8’ della ripresa. E’ uno scugnizzo, dunque è imprevedibile, eppure non sa, né lui né gli altri, che sta per cominciare la sua nuova vita, che l’infortunio di Milik gli spalanca all’improvviso dinnanzi (e dentro) l’area di rigore. E’ un’idea meravigliosa che Sarri avverte sin dal giorno del ritiro di Dimaro, nelle ore successive all’addio di Higuain, e l’allergia di Gabbiadini a quel sistema e a quei movimenti spinge l’allenatore a crederci: in Napoli-Besiktas (19 ottobre) c’è il test, in Napoli-Empoli (26 ottobre) c’è l’investitura, in un anno c’è questo Mertens, che è andato in panchina tre sole volte (perché i grandi ogni tanto devono rifiatare), e ne ha segnati quaranta tra Campionato e Champions. Lo spaccapartite, appunto! (CdS)

 

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